sabato 16 agosto 2014

Per (s)fortuna dell'Iraq c'è Di Battista

Lui sì che in ogni situazione sa prendere
il toro per le corna...
Siamo nel weekend di Ferragosto. La politica, dopo la più pacifica votazione sulla Costituzione dall'invasione degli Unni a oggi, è in ferie, e i mezzi di comunicazione parlano d'altro. Per gli ossessionati come me questo è un vuoto difficile da sopportare, ma per fortuna ci pensa il civitonico (no, non è una razza aliena, è la denominazione degli abitanti di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, famosa per le sue ceramiche) Di Battista a fornirmi del materiale.

Dopo un bel po' di tempo nel quale non si registravano sue affermazioni significative (non voglio dire che non continuasse a usare Facebook in maniera compulsiva, ma semplicemente non se lo filava nessuno) ha approfittato del silenzio altrui per mettersi in evidenza, con una lunga e articolata dissertazione sul Medio Oriente che copre, nell'arco di una postessa, (bisognerebbe inventare un corrispondente di articolessa per il web 2.0), un secolo di storia: pluf, tutto in un soffio.


Tutto è partito dal sito di "La Repubblica", dove ho trovato un articolo in cui si citava un suo intervento sul sito del suo guru Grillo, con il quale praticamente egli giustificherebbe le azioni dell'ISIS in quanto atti di resistenza contro gli Stati Uniti. Questo gruppo riceve oggi l'attenzione dei media per le sue azioni sanguinarie in Iraq e in Siria, e ha costituito un califfato islamico nei territori da esso occupati, dove vige la stretta osservanza della Sharia. In tutta sincerità, leggendo questo articolo ho pensato "Questa volta stanno esagerando, sono convinto che Di Battista, per quanto la mia stima per lui sia bassa, non possa aver detto niente del genere". Mi sono così deciso a leggere il suo intervento alla fonte. Sfoglio sempre il sito di Beppe Grillo malvolentieri, perché così, per informarmi su quanto dice il M5S o uno dei suoi esponenti, anziché essere libero di andare su un loro sito, devo indirettamente far arricchire Grillo e Casaleggio (se il loro sito ha tante visite, è più appetibile per gli inserzionisti pubblicitari), ma vabbeh, era un po' di tempo che non lo facevo. Per discolparmi, magari comprerò un libro, sperando di rimediare, con il mio gesto a favore della cultura, al mio indiretto sostegno dato così alle tante sciocchezze che circolano su quel sito.

Come già menzionato in precedenza, in un profluvio ininterrotto (almeno su questo siamo simili) il Di Battista si lancia in un'analisi di cent'anni di storia mediorientale, partendo dalla spartizione dei resti dell'Impero Ottomano, dissoltosi dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, per giungere ai giorni nostri. La tesi di questo suo intervento è che le politiche occidentali in questo angolo di mondo sono responsabili della situazione attuale in Iraq, e che per poter risolvere la situazione bisogna trattare con chiunque, ISIS compreso, in quanto tutti coloro che oggi operano con la violenza da quelle parti non sono altro che una reazione fisiologica al disordine portato dagli esportatori di democrazia. Il suo articolo è diviso un due parti: un excursus storico e una serie di proposte per risolvere la crisi irachena.

Pur essendo ricco di inesattezze, la prima parte del suo intervento contiene molte cose vere: le critiche alla politica statunitense troppo legata agli interessi delle industrie militari e petrolifere è tutto sommato condivisibile, e ad essa sono imputabili molti episodi bui della storia recente. Di Battista comincia citando la costituzione di uno stato iracheno negli anni '20 che includeva "etnie" che già si odiavano tra loro (curdi, sciiti e sunniti, le stesse di oggi), per continuare menzionando le dittature, le guerre e i rovesciamenti di regimi legittimamente eletti in paesi la cui unica "colpa" è avere risorse naturali che fanno gola alle industrie USA: oltre al già citato Iraq vengono ricordati Congo-Kinshasa e Guatemala. Curiosa la dimenticanza del Cile, il caso forse più clamoroso, ma vabbeh... Egli prosegue poi con le ipocrisie americane nei confronti dell'Iraq di Saddam Hussein, comodo quando contrastava l'Iran, scomodo quando il suo petrolio andava sfruttato e le industrie militari avevano solo di che guadagnarci da una guerra. In tutto ciò non si è fatto nemmeno mancare una digressione su Enrico Mattei. In questa sua analisi dico sin da subito che ha preso una colossale cantonata e proprio su Mattei non mancano numerose omissioni.
Abd al-Karim Qasim
(fonte: Wikipedia)
La cantonata riguarda l'Iraq e la morte di Abd al-Karim Qasim, predecessore proprio di Saddam Hussein, da Di Battista attribuita agli Stati Uniti, che non avrebbero accettato la nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi: per dare maggior sostegno alla sua tesi cita la stessa pagina di Wikipedia da me inclusa in questo mio articolo. Peccato che in essa si dica qualcosa di totalmente diverso: 

Qāsim fu trucidato all'età di 49 anni, in seguito a un riuscito colpo di Stato che ebbe il sostegno degli elementi panarabi sostenuti dell''Egitto.

Eh sì, la sua morte avvenne per mano di chi voleva, come l'Egitto, creare una specie di "Stati Uniti d'Arabia", o almeno questo è quanto scrive la fonte che secondo Di Battista dovrebbe confermare la sua tesi. Io non so come stiano le cose, non ho fatto ricerche a riguardo, e sono convinto che Qasim non piacesse alle multinazionali USA, ma se citi qualcosa per corroborare la tua tesi sarebbe opportuno leggerla prima. Evidentemente per lui è tempo perso: tanto, chi vuoi che vada a controllare?

Le omissioni su Enrico Mattei invece sono di tutt'altro tipo: nel modo in cui lo cita sembra aderire a coloro che lo dipingono come un patriota a favore dei diritti del terzo mondo ucciso dalle cattive multinazionali. Per chi volesse approfondire la storia di quest'uomo consiglio la puntata di "Blu Notte", trasmissione RAI condotta da Carlo Lucarelli, dedicata alla morte dell'ex dirigente dell'ENI.
Enrico Mattei (fonte: Wikipedia)
Appurato che la giustizia italiana su questo punto dice effettivamente che l'incidente aereo in cui è morto è stato causato da una carica di tritolo, il Di Battista si scorda alcune cose per le quali, oggi lo chiamerebbe "Ka$ta": i fondi neri usati per finanziare i partiti (un po' come Tanzi, con la differenza che almeno quest'ultimo non usava soldi pubblici per questo scopo), o le trivellazioni e i condotti installati all'insaputa delle comunità locali per evitare la loro protesta (strana dimenticanza per chi fa del no alla TAV in Val di Susa una battaglia primaria). Mi si risponderà che buona parte del boom economico italiano degli anni '50 è dovuto alla politica ENI, che riusciva a fornire petrolio a basso costo alle industrie italiane e garantiva condizioni migliori ai paesi esportatori. La cosa è parzialmente vera, ma in realtà le seconde erano semplicemente fatte per battere la concorrenza, non certo per filantropia, e le ricadute positive sull'economia italiana nascevano dal fatto che la convinzione di Mattei che ciò che faceva bene all'ENI era salutare per l'Italia era in buona parte vera. Certo, cosa volevi che importassero le opinioni delle comunità locali, che per Mattei erano solo ostruzionismo sulla via del progresso. Non si capisce però perché, se certe affermazioni le facevano, in parte a ragion veduta, Agnelli per la FIAT, o la General Motors, allora era una pericolosa confusione tra interessi di parte e bene comune, mentre Mattei è un santo. In più, oltre alla CIA e alle compagnie petroliere USA, altri possibili mandanti dell'uccisione di Mattei includono i nazionalisti francesi dell'OAS, che erano contro l'indipendenza algerina (Mattei stava stringendo accordi con i ribelli per lo sfruttamento del gas dopo l'autonomia dalla Francia) ed Enrico Cefis, liquidato proprio da Mattei dopo anni di vice-presidenza ENI. Quando non ci sono verità storiche accertate, o si citano tutte le ipotesi o si portano prove a sostegno di quella che si sostiene, ma Di Battista, nel suo furore ideologico (non male per chi si presenta come post-ideologico) non fa nessuna delle due cose.

Il meglio di sé lo dà però nelle sue proposte per risolvere la crisi irachena. Coerente con la sua convinzione che gli USA siano il male assoluto, egli sostiene che chiunque si opponga ad essi, ISIS compreso, sia come i partigiani italiani che lottavano contro l'occupazione nazista cominciata dopo l'8 settembre 1943 (non fa questo paragone, ma il senso è lo stesso). In particolare, l'obiettivo dell'ISIS sarebbe per lui

la messa in discussione di alcuni stati-nazione imposti dall'occidente dopo la I guerra mondiale [e] il processo di nascita di nuove realtà su base etnica.

Insomma, per capirsi, l'obiettivo sarebbe di dissolvere lo stato iracheno favorendo la nascita di nuove nazioni per curdi, sciiti e sunniti. Ora, a parte la confusione tra i termini "religione" ed "etnia" (i curdi sono un'etnia, ma sciiti e sunniti sono differenti confessioni dell'Islam, un po' come cattolici e protestanti), egli dimostra una crassa ignoranza su cosa sia l'ISIS. Non si capirebbero, seguendo la logica di Di Battista, gli attacchi dell'ISIS alla regione irachena dei curdi, che praticamente si amministrano già da soli. Per capire quali siano gli obiettivi politici di costoro consiglio la lettura di questa scheda, in cui si ricorda l'obiettivo dell'ISIS, di ispirazione sunnita, di governare anche regioni a maggioranza sciita: altro che l'autodeterminazione dei popoli... È pur vero che molti sunniti ed ex sostenitori del regime di Saddam Hussein si sono schierati al fianco dell'ISIS, ma questo accade perché il leader sciita Al-Maliki stava portando avanti una politica puramente repressiva nei confronti delle altre componenti religiose. Per questo quindi, più che trattare l'ISIS come un interlocutore affidabile, si è fatto bene a spingere sul governo iracheno per cambiare il modo in cui tratta i sunniti. Opportuna è stata quindi la scelta del parlamento iracheno su pressione anche degli USA, di deporre l'ex premier. Ora bisogna coinvolgere coloro che si erano affiancati all'ISIS proprio per toglierle quel sostegno senza il quale diventa solo un gruppuscolo di terroristi, non di certo parlare con loro.

Composizione etnico-religiosa della popolazione irachena.
(Fonte: Treccani)
Ma è soprattutto la proposta di assecondare i processi di frazionamento politico degli stati mediorientali a non avere alcun senso. In Iraq, ad esempio, solo la regione curda è omogenea dal punto di vista etnico-religioso, altrimenti il resto del paese vede un miscuglio tra sciiti e sunniti in cui è difficile tracciare dei confini: la stessa Baghdad è divisa in quartieri occupati da una delle due confessioni o addirittura da entrambe. Come si può pensare di ignorare l'inevitabile processo di rimescolamento che accade in un territorio con più confessioni religiose amministrato per lungo tempo da una stessa autorità? Non può sempre funzionare bene, e non può né nel caso dell'Iraq, né in altri: secondo questa logica, tutti gli stati nati dalla dissoluzione dell'URSS dovrebbero dividersi tra entità nazionali filo-russe e locali. Si pensi ad esempio allo scrittore di nazionalità russa Lilin ma di cittadinanza moldava, o al caso dell'Ucraina, in cui una divisione su base etnica tra russi e ucraini è se non altro ardua, come mostra la mappa sottostante.

La composizione della popolazione ucraina. (Fonte: Limes)

Proprio su questo tema l'amico di questo blog Marco Magini (a proposito, comprate il suo libro, fate i bravi) scriveva che

L'importanza di mantenere un'Ucraina unita e pacificata va molto aldilà della difesa di uno stato sovrano invaso da un ingombrante vicino [...] Quello ucraino non è che l'ultimo esempio di come il nazionalismo sia l'ideologia che minaccia oggi le democrazie liberali

Per concludere, pensate al solo fatto che la Bosnia-Herzegovina come oggi la conosciamo non esisterebbe neanche, e chissà se quella regione sarebbe rimasta relativamente stabile se si fosse applicato un criterio come quello che Di Battista propone per l'Iraq. Se queste sono le "facce nuove competenti", rivoglio addirittura Andreotti e Craxi: almeno loro non proponevano soluzioni che avrebbero causato solo conflitti permanenti...

domenica 27 luglio 2014

Donne anti-femminismo?

Nei giorni scorsi mi sono imbattuto in una galleria fotografica di "La Repubblica", raffigurante donne che per varie ragioni ritengono il femminismo una cosa inutile e/o superata. La cosa mi aveva fornito un argomento di cui scrivere in queste pagine, ma la mia notoria incostanza nell'aggiornare questo blog mi aveva fatto desistere.

Oggi invece mi ritrovo sulla bacheca FB il seguente commento pubblicato da un mio amico.



Mi sono allora detto: beh, se Pino, con la sua notoria capacità di sintesi, ha pubblicato qualcosa, chi sono io per non farlo? Il figlio della serva? Così, dopo aver pulito casa (un uomo che rassetta, quale migliore immagine per una femminista?), nell'attesa dell'ora di cena, mi sono messo alla tastiera per scrivere quanto l'argomento mi ispira.

La mia natura didascalica mi spinge innanzitutto a dare una definizione del Femminismo. Esso per l'enciclopedia Treccani è un

Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne.

Chi è quindi femminista ritiene che nella società odierna i diritti delle donne non siano rispettati (per ragioni tra le più varie) come quelli degli uomini. Questa ipotesi non è accettata dalle donne della già citata galleria fotografica, e anche per questa ragione il femminismo viene ritenuto qualcosa di superato. 
Ho cercato di racchiudere le loro tante affermazioni in cinque categorie, che sintetizzano la visione del femminismo che esse sottintendono.
  1. Anti-tradizionale.
  2. Movimento d'odio.
  3. Incurante delle diversità uomo-donna.
  4. Inattuale.
  5. Grande paravento.
Come scopriremo alla fine di questo testo, in realtà, questi punti sono strettamente intrecciati tra loro e fallaci.

Anti-tradizionale

Che il femminismo sia un movimento che vuole segnare una rottura col passato è assolutamente vero. Sempre la Treccani, infatti, a riguardo recitaIn senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica.

Nelle frasi delle donne considerate, però, si legge qualcosa di più: le femministe proverebbero forte disprezzo per quelle donne che scelgono di diventare angeli del focolare, di prendersi cura della propria famiglia e in particolare del proprio uomo. E se in effetti non nego che possa esserci qualche pseudo-femminista che, avendo fatto una scelta più orientata alla carriera, disprezza coloro che non sono come lei in quanto deboli, resta comunque il fatto che un'interpretazione più autentica del femminismo non propone un solo modello femminile, ma una pluralità di possibilità, tutte accettabili se abbracciate compiendo una libera scelta e tutte con pari dignità.
Come disse Lorella Zanardo quando venne a Zurigo, riferendosi alle soubrette televisive tutte incentrate sulla loro immagine, va benissimo chi sceglie di essere così: il problema si pone quando questo modello è l'unico proposto.

Movimento d'odio

Si è detto in precedenza che il femminismo proverebbe disprezzo per chi sceglie un modello di donna "tradizionale". Un'altra accusa simile sarebbe che questo movimento condannerebbe la galanteria (se le donne sono uguali agli uomini, perché dovrebbero aspettarsi che venga loro aperta la porta della macchina?) o le dimostrazioni d'affetto (ad esempio, la moglie che porta la colazione a letto al marito), poiché sottintenderebbero una visione del genere femminile come "debole intrinsicamente". L'idea dei rapporti di genere per le femministe sarebbe fortemente improntata alla competizione, in quanto le donne dovrebbero dimostrare continuamente di essere forti e mettere da parte ogni tenerezza reciproca.
Io invece, da uomo, mi ritengo fortemente per la parità di genere, ma non per questo non compio gesti d'affetto come pagare una cena o perché no cucinare io stesso, e se la mia donna fa altrettanto non lo vedo come segno di inferiorità, ma d'amore. L'importante è che la cosa sia reciproca: perché solo le donne dovrebbero essere carine mentre noi maschietti no?

Incurante delle diversità uomo-donna

Questa è quella che mi fa più sorridere: le diversità biologiche come giustificanti quelle sociali. Badate bene però che questa tesi, per quanto ingenua, è molto pericolosa ed è già stata usata anche in altri campi. Ad esempio, tutte le dottrine eugenetiche che hanno portato alla sterilizzazione dei malati mentali nel periodo tra le due guerre, e al loro sterminio nella Germania nazista (si consiglia a riguardo la visione dello stupendo spettacolo teatrale "Ausmerzen, di Paolini), si basavano su "misure di parametri biologici".


Senza giungere a questi drammi, comunque, la visione secondo cui certe differenze biologiche spiegherebbero anche quelle sociali mi spaventa, un po' perché penso a me stesso (vi è un esercito di donne in grado di correre più veloce e più a lungo, di saltare più in alto e più lontano e di sollevare maggiori pesi di quanto sia in grado di fare io: che ne sarebbe della mia virilità allora?), ma soprattutto perché ciò appunto sarebbe la giustificazione inaccettabile di qualcosa (la diseguaglianza) che non è frutto di differenze biometriche o di altre cause se non di scelte compiute dai membri di una società.

Inattuale

Per le risposte racchiuse in questa categoria, le rivendicazioni femministe non sono errate, ma semplicemente inattuali: la società attuale vedrebbe già la piena realizzazione della parità sociale con l'uomo.
Eppure basterebbe poco per smentire questa tesi. Basta pensare che, nonostante le donne siano generalmente meglio istruite degli uomini (fonte: ISTAT), esse sono più colpite dalla disoccupazione rispetto ai loro colleghi maschietti (fonte: Il Sole 24 Ore).
Inoltre, nonostante le battaglie come quelle illustrate nella figura qui mostrata, le donne in media guadagnano circa il 16% in meno degli uomini (fonte: Commissione Europea), con l'Italia messa meglio del resto dell'Unione Europea (da noi la differenza è del 10%). Per i lettori residenti sul suolo elvetico, in Svizzera tale differenza è del 19% (fonte: Swissinfo).
Eppure, c'è chi vede in questi dati qualcosa di diverso dalla discriminazione.

Grande paravento

Questa risposta è quella per me più interessante, in quanto afferma che il femminismo svilirebbe il merito individuale, reclamando l'uguaglianza sulla base di dati come quelli appena menzionati. In pratica, se c'è chi guadagna di meno, ciò è dovuto semplicemente alle sue incapacità: il genere non c'entra.
Per questo quindi il femminismo va rifiutato, in quanto grande scusa per coloro che non sono abbastanza brave e di successo. Se non sei realizzata, la colpa è esclusivamente tua.
Questa è un'accusa spesso rivolta a tutte le associazioni che lottano per una maggiore uguaglianza (es. i sindacati, che pure hanno le loro colpe), ed è figlia di una visione assolutamente individualista e derivante dal dominante neo-liberismo: se non hai successo, se guadagni poco, la colpa è solo tua, datti da fare e tutto si risolve.
Per questa mentalità bisognerebbe ignorare le etichette collettive, le associazioni sarebbero solo dei pretesti per equiparare i migliori ai meno bravi, e il merito sarebbe ignorato in favore di un presunto livellamento verso il basso. Ognuno dovrebbe badare a se stesso, la solidarietà non esiste ed è fatta per i perdenti. 
Questa è un'idea ampiamente diffusa, e in fondo richiama il post su FB con cui ho iniziato a scrivere, che ricorda in generale quanto la dimensione collettiva, pubblica, comune, sia, per chi ha questa mentalità, irrilevante o inesistente.
E qui mi ripeterò, ma da dove deve ripartire la sinistra se non proprio da qui? Notare che anche in questo schieramento non sempre tale concetto è chiaro. Basta pensare a Mineo che etichetta la Boschi come risultato della parità di genere.


Per questo, W tutti quei movimenti collettivi che si propongono l'uguaglianza e la condivisione come meta comune, contro gli egoismi e gli individualismi.

giovedì 3 luglio 2014

Indovinello

Guardate questa mappa.


Cosa vi fa venire in mente? Si può riconoscere uno stabilimento industriale collocato sul mare, che rilascia una non meglio definibile chiazza scura in acqua. Nonostante ciò, si può facilmente intuire che la macchia in questione non è sicuramente causata da sostanze che fanno bene alla salute.

Ho scelto questa foto satellitare perché spesso un'immagine comunica più di mille parole. È di oggi la notizia (vedere ad esempio l'ANSA o Repubblica) per cui, secondo uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità, la mortalità per esposizione ad inquinanti nella Terra dei Fuochi, a causa dei roghi delle discariche abusive, e a Taranto, luogo dell'impianto siderurgico dell'ILVA, è maggiore che nel resto d'Italia.

In particolare, nelle provincie di Napoli e Caserta essa, rispetto al resto della regione, è superiore del 10% per gli uomini e del 13% per le donne nei comuni in provincia di Napoli, mentre per quelli in provincia di Caserta del 4 e del 6%. A Taranto tale dato, nella fascia tra gli 0 e i 14 anni, è del 21% maggiore che in tutta la Puglia. D'altronde, come si può pensare che con emissioni come quella mostrata sopra la salute non possa risentirne...


Fermi un attimo, però: cosa ci fa Via Valmaura (indicata sulla mappa) a Taranto? Mi perdoneranno Zurota e la mia ragazza se ho spacciato la loro città, Trieste, per Taranto. Quella mostrata sopra infatti non è un'immagine del quartiere Tamburi, ma di Servola, rione del capoluogo del Friuli Venezia Giulia.

Se i dati sopra citati sono tragici, pensate a quest'ultima informazione: i morti per inquinamento a Trieste sono il doppio di quelli registrati a Taranto. Mi aspetterei quindi almeno la stessa attenzione per la sorte degli abitanti di Servola, Chiarbola e Valmaura. A livello nazionale invece essi non sono citati, a differenza della Terra dei Fuochi e della città pugliese. E se entrambi questi utlimi casi sono stati messi sotto silenzio per tanti anni, Trieste deve ancora subire tale condanna.

Le eccezioni ci sono: oltre al già citato articolo de Il Fatto Quotidiano, voglio ricordare questo pezzo di Adriano Sofri e, incredibile per chi mi conosce, questo filmato della trasmissione Le Iene, che in questo caso ha fatto un buon lavoro (a differenza ad esempio dei casi “Stamina" e "Dieta anti-tumore").

Immaginate però il risultato di un sondaggio in cui si chiede: "Dove si trova l'impianto siderurgico dei Lucchini?" Ben che vada, se l'interpellato/a si ricorda che l'ILVA è dei Riva, la risposta sarà un "Non lo so"; ritengo invece molto più probabile una replica del tipo "A Taranto".

Io non voglio dire che certe tragedie sono peggio delle altre: sono solo stufo che alcune siano considerate di Serie A, e altre invece no.

lunedì 30 giugno 2014

L'etica dello sport

Nei miei post tendo a essere troppo serioso, quasi ossessivo con certi argomenti "pesanti" (specie di politica). Oggi voglio quindi cambiare, e in maniera radicale: parlerò di sport. Tranquillizzo subito Zurota: non ho alcuna intenzione di disquisire di statistiche sportive, dell'eliminazione dell'Italia o di altre amenità simili. Dai mondiali prenderò solo lo spunto per parlare d'altro.
In questi giorni il Post ha pubblicato delle foto risalenti all'ultimo mondiale svoltosi nel continente americano, ossia USA 94. Questi sono stati i primi campionati mondiali di cui avessi piena cognizione: nel 1990 dovevo ancora compiere 7 anni, e di quella manifestazione ho solo un vago ricordo di quella che probabilmente fu Italia-Argentina. Del 1994 invece conservo ancora la memoria delle partite a casa degli amici, e della finale (persa) guardata con tutto il paese, alla sagra: ovviamente non si erano fatti sfuggire un'occasione del genere (che in media accade una volta ogni 12 anni), per far bere tante persone e guadagnare soldi con poco sforzo.

Questi ricordi mi fanno venire in mente una delle cose che mi piace di più dello sport: l'idea di una comunità che si ritrova, si riunisce, tutti con lo stesso desiderio, le stesse speranze. Purtroppo, come evidenziato da Marckuck, questo spirito noi italiani lo troviamo solo in occasione di una partita di calcio, scordandoci invece di applicarlo nella vita di tutti i giorni: se lo facessimo, allora non ci mancherebbero il senso civico, il rispetto delle regole, la capacità di collaborare anziché tirare a fregarci, tutte cose invece in cui siamo deficitari. 

Persino all nostra nazionale queste virtù sono mancate. Essa, una volta eliminata, ha mostrato quanto fosse un'accozzaglia di egocentrici, tra vecchi eroi del pallone, che non vogliono accettare che il loro tempo sia finito, e giovani arroganti che ancora non hanno dimostrato niente ma che, in virtù anche di certi contatti a loro generosamente offerti, credono di avere il mondo ai loro piedi (e probabilmente, se a 20 anni avessi percepito tali cifre, sarei impazzito anch'io).

Lo sport però ci dà anche un'altra lezione, ben sintetizzata nella frase che i cardinali nel conclave recitano al neo-eletto pontefice mentre bruciano le schede che lo hanno portato all'elezione: "Sic transit gloria mundi", così fugge via la gloria terrena.

Lo sport è la migliore rappresentazione di questo concetto. Un anno sei considerato un fenomeno, il migliore, venerato e da sinceri ammiratori e da leccaculo che pensano così di brillare della tua luce riflessa, e magari l'anno successivo basta una festa di troppo a tarda notte, un infortunio scalognato, o anche semplicemente un'armata storta (càpitano), per farti precipitare nella polvere, e più la tua ascesa era stata impetuosa e più poi i tuoi detrattori (nelle cui schiere ci saranno anche i leccaculo citati prima) faranno fragore nell'avventarsi sui resti della tua gloria.


Il fato può voltarti le spalle anche nel momento apicale della tua carriera (o della tua vita): pensate alla foto qui sopra. Baggio nel 1994 era considerato il più forte, l'anno prima aveva vinto il Pallone d'Oro ed era il simbolo del suo sport. Poi nel 1994 ha sbagliato l'ultimo rigore dell'Italia nella famigerata finale di USA 94: la sua occasione di essere definitivamente consacrato se ne era andata, e lui non toccò mai più quei vertici. Intendiamoci, il talento rimase intatto e cristallino, e Baggio vinse anche dei trofei dopo quell'anno, ma non ebbe mai più il mondo ai suoi piedi come allora. Lui, da persona schiva (lo avete mai più visto dopo il suo ritiro?) e intelligente ha saputo gestire bene la cosa, ma altri sarebbero crollati al suo posto. Voglio comunque chiarire una cosa: io idolatro Baggio, talmente grande che Guardiola, a un giovane ma già fortissimo Messi, disse "Guarda che prima di arrivare ai livelli di Roberto Baggio devi farne di strada..."


Tornando alla fugacità della gloria terrena, voglio chiudere con due frasi. La prima è tratta dai Carmina Burana, che recitano 

Rex sedet in vertice:
caveat ruinam. 
Nam sub axe legimus
Hecubam Reginam

un monito al re che siede sul trono a stare attento alla possibile prossima rovina, ché sul mozzo della ruota del destino vi è scritto "Ecuba regina", a ricordo dell'ultima regina di Troia ridotta poi in schiavitù.


A questa minaccia però voglio contrapporre le parole di Kipling (purtroppo citate anche da Grillo), scolpite all'ingresso del campo centrale a Wimbledon. 

If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same
[...]
Yours is the Earth and everything that's in it,
and - which is more - you'll be a Man, my son!"

Lo sport sa essere anche nobile, ma in Italia ce ne siamo scordati, fissati come siamo col calcio dei milionari. Il mio saluto, avendo citato io una poesia che Kipling pensava per un figlio, non può che essere con Yusuf Islam / Cat Stevens. Alla prossima.



giovedì 26 giugno 2014

Gli antichi greci la sapevano lunga... - Socrate e la disobbedienza civile

Antigone
Quando pensiamo alla disobbedienza civile, ossia alla deliberata violazione di una legge in segno di protesta contro quest'ultima, ritenuta ingiusta, il primo esempio che viene in mente è Gandhi, che con la sua lotta non violenta si oppose alla colonizzazione inglese. Uno dei più famosi episodi che riguarda il Mahatma è la cosiddetta marcia del sale, con la quale ha violato le leggi sul monopolio del commercio del sale indiano esercitato dal governo britannico. Questa pratica però non è stata esercitata per la prima volta dal più grande indiano di tutti i tempi.

Se uno dei primi testi in cui essa è proposta esplicitamente è il bellissimo Discorso sulla Servitù Volontaria di de La Boétie, tuttavia il primo esempio è ancora più antico. Bisogna risalire (non a caso) alla mitologia e drammaturgia greca, con Antigone che si rifiuta di seguire gli ordini del sovrano e dà degna sepoltura a suo fratello.

Il primo caso documentato appartiene sempre alla Grecia antica, e si riferisce a uno dei più grandi uomini che abbia calcato questo pianeta: Socrate. Per il metro di giudizio moderno egli sarebbe stato solo uno sfaccendato perdigiorno, che poteva sopravvivere solo perché la moglie Santippe mandava avanti la baracca mantenendo lui e tre figli, di cui due forse erano addirittura non di lei ma generati da una concubina di nome Mirto (il concubinaggio all'epoca era una pratica incoraggiata): Giovanardi non avrebbe potuto sopportarlo, ritenendolo il peggiore degli amorali.

Tuttavia il pensiero di quest'uomo è considerato uno dei cardini della filosofia occidentale, e il suo contributo indispensabile. Probabilmente i contemporanei lo consideravano (almeno prima della sua morte) un rompicoglioni da primato, che con le sue continue domande non ti mollava più fino a portarti allo sfinimento: quello, se per concludere frettolosamente rispondevi "Hai ragione, Socrate", era capace di chiederti "Ma allora, visto che dici che ho ragione, vuol dire che sai che cosa essa sia. E allora dimmi, cos'è?"
Socrate
Certo, buona parte della sua fama è dovuta alla fortuna che le sue gesta e le sue idee siano state narrate da uno scrittore fenomenale, Platone. Ma secondo me essa deriva anche dall'essere stato Socrate il primo ad aver praticato la disobbedienza civile. Nel dialogo (sempre di Platone) che racconta il processo che lo ha poi portato alla condanna a morte, vengono citati tre episodi in cui egli, pur di non andare contro il suo senso di giustizia, si è opposto alla legge vigente.

Il primo caso fu il processo in seguito alla battaglia delle Arginuse (un episodio della guerra del Peloponneso), nel quale i comandanti furono condannati per non aver recuperato i naufraghi: Socrate fu l'unico a votare contro il processo congiunto e a esprimersi per un giudizio separato per ciascuno di loro, al fine di identificare le responsabilità individuali e non limitarsi a un verdetto sommario. Nel secondo rischiò la pena capitale, perché si rifiutò di eseguire la condanna a morte nei confronti di un cittadino da lui ritenuto innocente: quella volta gli andò bene solo perché nel frattempo il governo che aveva emesso la sentenza era stato rovesciato.

Il terzo caso gli fu letale: proprio durante il processo nei suoi confronti egli, nel momento in cui gli fu offerta la possibilità di proporre una pena alternativa alla condanna a morte, in segno di protesta contro una sentenza che riteneva ingiusta arrivò a proporre l'equivalente odierno dell'essere mantenuto a vita come eroe della patria. Probabilmente il gesto era un misto di megalomania e consapevolezza delle proprie azioni. Di sicuro l'uomo aveva un'enorme considerazione di sé, ma due conti se li era fatti: a 70 anni ormai gli restava poco da vivere, e come garantirsi l'immortalità se non con una sentenza ingiusta nei confronti di un uomo che difendeva le sue idee? Accettare la colpevolezza sarebbe stata un'abiura di tutto il suo pensiero, e da qui la sua offerta alternativa provocatoria e la genialità nell'aver per primo capito ciò.

La prova di quello che dico è nelle sue parole prima e dopo la condanna. Durante il processo egli disse
O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio che a voi, e finché abbia respiro, e finché ne sia capace, non cesserò mai di filosofare e di ammonirvi


mentre quello che gli chiedeva l'accusa era proprio di ripudiare le sue idee e di smettere di insegnarle. E cos'altro sono le parole "obbedirò piuttosto al dio che a voi", visto che il primo per lui era il suo senso della giustizia, se non un atto di disobbedienza civile?
Dopo la condanna, invece,

E dovete sperare bene anche voi, o giudici, dinanzi alla morte e credere fermamente che a colui che è buono non può accadere nulla di male, né da vivo né da morto, e che gli Dei si prenderanno cura della sua sorte. Quel che a me è avvenuto ora non è stato così per caso, poiché vedo che il morire e l'essere liberato dalle angustie del mondo era per me il meglio. [...]Quando i miei figlioli saranno grandi, castigateli, o Ateniesi, tormentateli come io ho tormentato voi se vi sembrano di avere più cura del denaro o d'altro piuttosto che della virtù; e se mostrano di essere qualche cosa senza valere nulla, svergognateli come ho fatto io con voi per ciò che non curano quello che conviene curare e credono di valere quando non valgono nulla

Insomma, più che la propria vita, ciò che contava erano le sue idee, per le quali valeva la pena anche di morire, pur ricevendo offerte di fuga per potersi salvare.
Aveva capito che la condanna a morte gli sarebbe valsa una fama eterna, e così fu: gli ateniesi, qualche giorno dopo la sua esecuzione, si pentirono del proprio gesto, dichiararono il lutto cittadino e fecero esiliare o condannare a morte coloro che avevano denunciato Socrate e istruito il processo contro di lui. Troppo tardi nella miope ottica di un singolo uomo, ma con tempismo perfetto dal punto di vista della storia, che era quello che contava per un personaggio della sua caratura.


A coloro che sono riusciti ad arrivare alla fine del mio ennesimo sproloquio, dedico questa canzone che in fondo è la massima celebrazione di due personaggi che hanno ricevuto una condanna ingiusta: Sacco e Vanzetti, cantati da Joan Baez su musiche di Ennio Morricone. Alla prossima

lunedì 23 giugno 2014

La bufala dell'immunità parlamentare

Qualche giorno fa mi ero stupito nel leggere i giornali che dicevano "Nel patto tra Partito Democratico, Forza Italia e Lega Nord si ripristina l'immunità parlamentare anche per i Senatori".
A leggere così, o almeno a guardare come molti hanno presentato la questione, sembra una cosa pessima: l'immunità parlamentare come termine richiama sempre brutte cose da Prima Repubblica, ossia il fatto che anche in caso di sentenza definitiva il parlamentare non può essere arrestato se non vi è l'autorizzazione della sua Camera di appartenenza, anche in caso di sentenza definitiva di condanna.
Questo concetto, che era contenuto nell'art. 68 della Costituzione, è stato rimosso proprio dopo gli scandali di Tangentopoli, modificando il sopra citato articolo in modo tale che in caso di sentenza definitiva l'arresto sia automatico. Restavano (e restano a tutt'oggi) invece le prerogative riguardo alle perquisizioni e alle intercettazioni o alla possibilità di essere arrestati prima della sentenza definitiva (entrambe le eventualità richiedono prima l'approvazione della Camera di appartenenza del parlamentare) e la non perseguibilità dei giudizi espressi in aula: se durante un discorso in aula un deputato, ad esempio, dà del ladro ad un'altra persona, questo atto è magari disdicevole ma non querelabile.
Il disegno di riforma costituzionale del Governo, nella sua forma originaria presentata al Senato, prevede che quest'ultimo sia non elettivo e quindi che le prerogative sopra citate decadano per i suoi membri. Vari emendamenti, presentati da membri di un po' tutti i partiti, quindi PD, Fortza Italia, Lega Nord, ma anche M5S (si veda ad esempio il 6.5), chiedono invece che le attuali differenze tra parlamentari e comuni cittadini rimangano in vigore anche per i nuovi senatori.
Ora, il mio punto non è esprimere un giudizio su cosa sia meglio tra queste due prospettive, ma sollevare una questione: perché tali modifiche sono state presentate come una reintroduzione dell'impossibilità di arrestare un parlamentare, salvo approvazione dei suoi colleghi, come nel video qui mostrato?


Mi chiedo per quale motivo anche Di Maio del M5S in un suo post su Facebook recita 

Ma in realtà non si sta mettendo in discussione alcun privilegio della classe politica. Anzi si rafforzano. Quei privilegi che hanno fatto sentire intoccabili i politici italiani negli ultimi 30 anni 

Non si rafforza proprio niente, visto che gli emendamenti attuali o lasciano la situazione invariata (quelli presentati da membri di PD, FI, M5S) o la modificano togliendo prerogative ai senatori (testo originale del governo). Per di più, sempre Di Maio cita un'intervista in cui la Finocchiaro afferma che al governo erano già stati mostrati gli emendamenti PD sull'immunità parlamentare (che tendono a lasciare la situazione così com'è, ripeto): egli usa tale affermazione per dire invece che il PD vuole ripristinare la situazione pre-tangentopoli. Perché? C'è da dire che alcuni emendamenti leghisti (quelli che una volta erano duri e puri) vanno in tal senso, ma da quanto ho visto nella lista di tutti gli emendamenti non ve ne è uno presentato da membri PD che abbia lo stesso scopo: perché quindi coinvolgere quest'ultimo partito quando tale errore è stato fatto da altri?
Ma lasciamo stare i politici, che magari certi "errori" li fanno per ragioni di propaganda politica (e succede da ogni parte, PD compreso): perché i giornalisti hanno presentato la faccenda come un peggioramento quando solo un partito (per di più non dei tre maggiori) fa una richiesta in tal senso? Bastava fare le ricerche che ho fatto io, che mi sono costate circa 30 minuti della mia vita: un giornalista ciò dovrebbe farlo per lavoro. Ci sono caduti tantissimi: Repubblica (come dimostra il video qui sopra), Fatto Quotidiano (in realtà poi nel link Zampa e Civati dicono più o meno le mie stesse parole, ma il titolo dell'articolo fa pensare ad altro), il Corriere della Sera (citando proprio le parole di Di Maio), e temo che l'elenco sia ancora più lungo. Lodevole eccezione è invece il Post, che spiega probabilmente meglio di me il concetto. Se chi fa il giornalista di lavoro commette certi errori, come ci si può aspettare che le persone (che spesso non hanno la capacità di informarsi correttamente) si formino un'opinione basata su fatti corretti e non su castronerie?

martedì 10 giugno 2014

Correlazioni pericolose

Ogni tanto sui giornali, o in televisione, si sentono notizie tipo "Le arance combattono il cancro". Nella descrizione di tale studio si dice poi che si è osservata una correlazione secondo cui chi mangia almeno tot agrumi al giorno è meno colpito da certi tipi di tumore rispetto al resto della popolazione.
Oggi voglio parlare appunto del termine "correlazione". Nel lessico comune questo termine diventa sinonimo di un rapporto di causa ed effetto, come nell'esempio citato all'inizio di questo articolo. Tuttavia, specie nel linguaggio scientifico, esso ha in realtà un altro significato. 
Gli scienziati hanno una fissazione: ogni cosa che studiano deve essere misurabile. Così come le lunghezze vengono quantificate in metri o in km e la temperatura in gradi centigradi (che per fortuna sono usati anche qui in Gran Bretagna), generalmente quando si fa ricerca su qualcosa si vuole sempre poterla misurare.
In seguito, spesso le varie misure vengono riportate su dei grafici: generalmente sono delle rappresentazioni di due grandezze, con due assi a fare da sistema di riferimento (come le lettere e i numeri nella battaglia navale), e la posizione in ciascun punto del piano corrisponde a una coppia di valori di entrambe.

Un esempio di variazioni giornaliere di temperatura

Nell'esempio qui sopra riportato, ogni punto corrisponde alla temperatura media (prima grandezza, indicata sull'asse verticale) registrata in un giorno del mese di giugno (seconda grandezza, rappresentata sull'asse orizzontale). In questo grafico, poiché si mostra come è variata la temperatura giorno dopo giorno, ossia nel tempo, si dice che si studia la sua evoluzione temporale
Quello che poi gli scienziati fanno spesso è studiare l'evoluzione temporale di due grandezze. Se all'aumentare dell'una corrisponde una crescita dell'altra e viceversa, allora in statistica si parla di correlazione. Esistono dei metodi per determinare quanto due grandezze siano correlate, ma descriverli esulerebbe dallo scopo di questo articolo. Consideriamo invece il grafico sottostante.

La ricerca spinge alla morte?

In questo caso, volendo studiare due quantità diverse, gli assi verticali sono due: uno a sinistra e uno a destra, ma per il resto abbiamo un esempio del tutto simile al precedente. Esso mostra come sono variati negli anni il numero (indicato sull'asse verticale a destra) di suicidi per impiccagione, strangolamento e soffocamento negli Stati Uniti (curva rossa), e la spesa (il riferimento è sull'asse verticale a sinistra, in milioni di dollari americani) sempre dello stesso paese per ricerche in ambito scientifico, spaziale e tecnologico. Si vede subito che le due grandezze formano percorsi molto simili, vanno quasi in parallelo, e quindi l'evoluzione di queste due grandezze è quasi identica: quando una aumenta, ad esempio, l'altra fa la stessa cosa. In questo caso la correlazione è praticamente perfetta.
Voi capirete tuttavia che non vi è alcun rapporto di causa ed effetto (stavo per scrivere "correlazione", sotto l'influsso del linguaggio di tutti i giorni) tra queste due grandezze: nel titolo le ho definite "correlazioni pericolose" (in realtà, si indicano col termine "spurie").
A meno che non si voglia fare come i giornalisti sopra citati, e magari lanciare un servizio in cui si dice "È dimostrato: più un paese spende in ricerca e tecnologia e più le persone tendono a suicidarsi", magari per poi lanciarci in un "Le cause sembrerebbero essere la maggior pressione esercitata sui ricercatori da chi aumenta i propri investimenti, siano essi pubblici o privati, in cerca di un ritorno economico immediato che lo scienziato non può garantire, e che spinge poi quest'ultimo a darsi la morte per la delusione in caso di fallimento".
Perciò, quando sentite dire che vi sarebbe correlazione fra un certo comportamento e una maggiore salute, non accontentatevi di queste parole e cercate sempre di vedere quale sarebbe il nesso di causalità proposto: nel caso da me menzionato, è facile riconoscere che si tratta di una sciocchezza. Lo è un po' meno invece quando, parlando della dieta, vengono descritte strane molecole che favorirebbero taluni processi metabolici.

I pirati e il riscaldamento globale

In generale però, non accontentatevi mai della prima spiegazione. Indagate, informatevi, sentite più pareri, insomma: siate curiosi. Altrimenti finirete per credere a tutto, anche alla tesi secondo cui il diminuire del numero dei pirati professionisti sia la causa del riscaldamento globale.