venerdì 16 agosto 2013

Servi e cortigiani

Discorso sulla servitù volontaria di
Étienne de la Boétie, nell'edizione
da me letta.
Qualche tempo fa, quando ancora vivevo a Zurigo, comprai dalla mia libraia preferita il libro raffigurato qui a lato di Étienne de la Boétie, intitolato Discorso Sulla Servitù Volontaria. Ne avevo sentito parlare perché in questo testo si affermava la tesi che il miglior alleato dei tiranni o dei poteri oppressivi in genere sono proprio i cittadini vessati, che sembrano quasi desiderare un tale stato, e che loro stessi con il semplice rifiutare le loro catene possono liberarsi.
Poi il compagno Smarmello, incuriosito da questa riflessione, me lo chiese in prestito e io fui ben felice di darglielo, anche se avevo appena cominciato a leggerlo: in fondo, pensai, ne ho altri libri da leggere, e quando mi sarà restituito lo finirò. Ma poi, appunto, fui assorbito da altre cose, e anche se il libro mi fu restituito subito non lo ripresi più in mano. Questo fino a due giorni fa.
Il testo è molto breve: nell'edizione in mio possesso consta di meno di 60 pagine, se si esclude la prefazione del mio corregionale Flores D'Arcais (sono pochi i friulani famosi, lasciatemeli citare quando posso :D), e si lascia leggere abbastanza facilmente, anche se le sue pagine sono dense di contenuti.
Il libro parte con la tesi sopra esposta: la capacità di opprimere che hanno i potenti viene data loro proprio da chi poi viene asservito, e di qui la raccomandazione dell'autore: "Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi". Questa idea può sembrare molto azzardata, o quanto meno ingenua, perché nessuno penserebbe che sia così facile liberarsi di un qualche potere autoritario, eppure è la base dell'indipendenza dell'India: il suo padre fondatore Mahatma Gandi, con le sue manifestazioni pacifiche, in primis la "Marcia del Sale" con la quale andò contro il monopolio britannico ad estrarre il sale indiano, sconfisse il potente occupatore coloniale. Già da questo si può comprendere quanto questo testo, pur nella sua brevità, contenga delle tesi geniali.
L'autore poi continua descrivendo quanto è profondo l'abbruttimento dell'uomo schiavo, specie se confrontato con lo stato di libertà, da de la Boétie ritenuto naturale (associandosi così al filone del "buon selvaggio", il cui principale esponente fu forse Rousseau), e da questo stupore si chiede quali possano essere le ragioni per cui l'essere umano, libero per natura, possa accettare di essere asservito. Ma attenzione, per de la Boétie la libertà non è un semplice poter fare ciò si vuole, ma viene dall'uguaglianza di tutti e di ciascuno: siamo liberi in quanto tutti uguali. Allo stesso modo il potere oprressivo non è solo quello di un tiranno, ma anche quello di una dirigenza democratica che, troppo attaccata al potere, diventa autoreferenziale e degenera per poterlo mantenere.
La televisione può renderci come i maiali.
Tra le ragioni per cui si accetta l'asservimento egli cita in primis l'abitudine alla schiavitù, che col tempo fa dimenticare quanto sia prezioso l'essere liberi, e identifica proprio nella memoria storica un efficace antidoto contro tale degenerazione. Egli però si rende conto che tale obiettivo è difficile, specie perché l'oppressore utilizza numerosi modi per sedurre chi vuole soggiogare, ricordando come nell'antichità romana c'erano gli spettacoli dei gladiatori, e che spesso chi voleva guadagnare un potere assoluto come primo passo assurgeva a difensore autentico del popolo, per il quale, e questo è uno dei due momenti negativi del libro, l'autore non ha sempre parole clementi, accentuandone gli istinti più bassi. Qui sta però la modernità del testo: è facilissimo applicare queste parole all'ultimo trentennio, in cui Silvio Berlusconi ha creato un modello culturale con le sue televisioni (le arene circensi dei giorni nostri) che ha sedotto i cittadini e si è presentato come uno del popolo, specialmente nei suoi vizi (l'amore deviato per le donne, il sesso, la ricchezza, ad esempio), a cui la sinistra purtroppo ha contribuito non sapendo contrapporre un'alternativa ideale e culturale, prima che di governo, efficace.
Tali riflessioni però non soddisfano a pieno de la Boétie, che ancora non intravede perché la tirannia sia così forte, fino a quando non arriva con quella che secondo me è la sua tesi più azzeccata: se accettiamo il potere oppressivo e rinunciamo volentieri ad uno status di cittadini liberi è perché ne diventiamo noi stessi partecipi. Il tiranno ha diretto controllo solo su alcune decine di persone al massimo, ma queste poi esercitano la loro quota di potere su altri sotto di loro e così via, in una perversa piramide in cui ciascuno risulta assai gratificato dal fatto di poter privare qualcuno di qualcosa e non si rende conto, dall'altro verso, che ciò che gli viene sottratto è maggiore di quanto egli ruba agli altri. Quando ho letto queste parole mi è subito venuto da pensare all'Italia: chi vota chi esalta l'evasione fiscale spesso lo fa perché egli stesso, nel suo piccolo, non non paga le tasse. Uno scontrino non emesso, un lavoro di riparazione domestica per il quale non si chiede la fattura, sono tutte piccole sottrazioni a danno degli altri cittadini, che dalla mancanza di tasse versate subiscono una mancanza di servizi pubblici efficienti. Insomma, sto parlando della miopia di chi è convinto che, ad esempio, ottenere un posto tramite una raccomandazione gli permetta di guadagnarci sulle spalle di qualcun altro, senza rendersi conto che queste pratiche danneggiano anche lui, facendo diventare medici degli incompetenti, professori degli analfabeti, capitani d'industria dei figli di papà che non sanno cosa voglia dire lavorare. 
Un'azzeccata riflessione di Altan sui leccapiedi.
Il finale del libro, poi, è dedicato ai cortigiani, a coloro che credono che, leccando il culo al padrone di turno, ci guadagnano in prima persona, senza sapere che nessuno è durato tanto a lungo basandosi esclusivamente sul totale asservimento al padrone e alla soddisfazione dei suoi vizi. Anche qui il confronto con l'Italia attuale, con consigli di amministrazione pieni di lacché senza alcuna capacità, gruppi di ricerca universitari colmi di servi che non osano esprimere le proprie idee ma obbediscono pedissequamente al barone di turno, amministrazioni pubbliche farcite di incompetenti leccapiedi e partiti proprietari con una classe dirigente che in realtà sembra più la corte di un satrapo (e non mi riferisco solo al PDL), mi è venuto immediato.
In conclusione, il libro mi è piaciuto, per le sue tesi attuali, ma ha anche un paio di punti deboli. Oltre al citato disprezzo per il popolo, che svilisce il significato di una lotta per l'uguaglianza se si pensa poi di combattere solo a nome di una massa di utili idioti, il testo non propone alcuna soluzione per risolvere la tendenza alla volontà di dominio di ciascuno. Anche D'Arcais, nella sua introduzione, nel parlare di "Un sistema omnipervasivo di incompatibilità giuridica tra cariche e funzioni, politiche, finanziarie, mediatiche, che le rendano costituzionalmente rivali" sembra configurare, a essere malvagi, una società in cui il desiderio di controllo passi da verticale a orizzontale. Insomma, usare un istinto umano naturale, anche se negativo, e convogliarlo per il bene comune, ma questa interpretazione forse è troppo ingenerosa nei suoi confronti: in fondo quello che propone è una società in cui, più che un controllo despotico, si immagina un controllo diffuso come vero deterrente dei mali sociali e delle degenerazioni autoreferenziali dei potenti sopra citate. D'altro canto, questo ragionamento sulla volontà di sopraffare è alla base di tutte le tesi anarchiche sul principio di autorità. 
Inoltre, de la Boétie, nel dire che sarebbe facile liberarsi delle catene dell'oppressore, pur ricordando come l'abitudine a servire renda difficile fare ciò non è consapevole a pieno del problema che invece Kant ha espresso egregiamente nella sua lettera intitolata "Che cos`è l'illuminismo?": "Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza - è dunque il motto dell'illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall'eterodirezione (naturaliter maiorennes), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l'intera vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori." In sintesi, è molto più facile accettare passivamente una morale precotta e comportarsi secondo una condotta decisa da altri che elaborarne una propria.
Voglio però concludere citando la cosa che mi piace di più del testo: il suo continuo riferirsi alla storia, in particolare al passato greco-romano, come fonte di conoscenza per comprendere la società moderna ed evitare gli errori già ripetuti, l'historia magistra vitae, la storia come maestra di vita, per cui conoscere il passato aiuta a capire il presente e progettare un futuro migliore.
P.S.: Ai lettori che sono arrivati in fondo, prometto che il prossimo post sarà più leggero: parlerò di scienza, ma cercando di farlo in maniera semplice e affascinante. Non aspettatevi però tette e culi ;)

Nessun commento:

Posta un commento