Cari
amici de La Spuma e lo Spritz,
se pensavate che le vacanze natalizie potessero obnubilare le nostre
menti a suon di alcool e cibo e rendere più difficile il ritorno alla regolare
attività di scrittura online, beh, le vostre speranze sono andate deluse.
Per
quei pochi (spero però che siano tanti) che invece avessero sentito la mancanza
delle nostre cavolate e/o analisi più o meno serie, mi fa piacere annunciarvi
che l’attesa, durata in fondo solo una settimana, è finita. Per cominciare l’anno
nuovo con un tema leggero, ho deciso di parlare di Monti, della sua lista
e della sua agenda.
Se
per il 2012 l’attore politico che ha visto la maggiore crescita dal punto di
vista elettorale è stato il Movimento 5 Stelle, non si può negare che la
fine del 2012 e l’inizio di questo 2013 sono stati e saranno segnati, nel bene
e nel male, dalla scelta di Monti di fare politica “partitica” o, per usare le
sue parole, di “salire in campo”.
La
mia opinione su Monti è presto detta: dal punto di vista personale mi sembra
una persona a modo, sobria, sicuramente intelligente e competente, che con la
sua azione di governo ha mostrato di essere un uomo della destra più classica,
quella europea ed europeista legata al Partito Popolare Europeo, che
vede ormai Berlusconi come un corpo estraneo e punta quindi sul
professore della Bocconi.
Se
il mio giudizio per l’uomo Monti è di rispetto, per quanto molte cose ci
dividano dal punto di vista politico, devo esprimere un parere decisamente meno
positivo, seppur provvisorio, sulla sua lista.
Va
detto che non sono ancora stati resi noti tutti i nomi che comporranno l'a
lista che prende il nome dell’ex premier, quindi bisogna basarsi su
indiscrezioni e promesse. Sono stati annunciati criteri molto restrittivi
per la composizione delle liste: no a conflitti d’interesse e a candidati con
procedimenti in corso o condanne definitive; nella sua lista non dovranno
esserci parlamentari attualmente in carica, mentre per i due partiti alleati alla
Camera (UDC e FLI) non potranno presentarsi parlamentari con più
di due mandati alle spalle, con due deroghe per ciascuno di essi (i loro leader
e altre due persone). Al Senato invece, per motivi tecnici legati alla legge
elettorale (ah, il dominio della tecnica di heideggeriana
memoria… giusto per far bella figura con Smarmello),
ci
sarà una sola lista, per la quale i parlamentari che si presenteranno dovranno
rispettare i limiti legati ai mandati precedenti.
Se
le premesse sembrano promettenti, resta comunque il fatto che i nomi usciti
finora per la lista Monti (l’ex ministro Andrea Riccardi e Marco Simoni della
London School of Economics per esempio) fanno più pensare, per dirla con Fassina, a un club
Rotary che a una tornata elettorale: come ho già detto in precedenza, mi
rifiuto di pensare che la società civile debba essere rappresentata
esclusivamente da persone vicine alla Chiesa o da professori. Ogni giudizio definitivo
è comunque rimandato a quando si conosceranno tutte le candidature e i
posizionamenti sulla scheda elettorale di ciascun nome.. Ricordo che tale
ordine è fondamentale nello stabilire chi avrà possibilità di essere eletto: il
numero 15 in lista, per esempio, non ha alcuna possibilità di diventare
Onorevole.
Devo
però ricordare la mia allergia nei confronti di tutte le liste e i partiti
personali, che sono stati una delle piaghe della politica della cosiddetta
Seconda Repubblica. Un movimento politico e i suoi programmi dovrebbero
prescindere da chi in quel momento lo guida: fondare un partito che fosse
“spersonalizzato” sarebbe stato pertanto un gran segno di discontinuità nei
confronti degli ultimi anni. Monti non l’ha fatto per un semplice motivo: sa
che il Centro, senza il suo nome, è destinato a sicura marginalità, e quindi
deve esporsi in prima persona, poiché probabilmente gli sarà stato dagli stessi
alleati Fini e Casini.
Il
23 dicembre scorso, infine, è stata pubblicata online la cosiddetta Agenda Monti. Poiché in latino il
termine “agenda” significa “Le cose da fare”, dal nome ci si
aspetterebbe che tale documento contenga una lista di provvedimenti
particolareggiati da prendere nei 5 anni di governo in caso di vittoria, così
come noi sulla nostra agenda annotiamo nel dettaglio impegni e scadenze.
Non
è così: in pochi casi si danno tempistiche precise, o si espongono in maniera
chiara provvedimenti da prendere e atti concreti da compiere. Essa è più un
classico programma politico, con degli indirizzi che si dichiara di voler
seguire in considerazione della situazione attuale e dell’attività del
precedente governo dei tecnici: se col termine “agenda”, quindi, si voleva
segnare un distacco dai modi e dalle parole della politica, all’atto pratico
poi tale distanza risulta davvero scarsa.
Analizzando
più nel dettaglio tale documento, esso è composto di quattro capitoli, qui di
seguito elencati accanto a un titolo “alternativo” da me concepito che ne
riassume il contenuto:
- Italia, Europa. Politica Europea e internazionale
- La strada per la crescita. Economia.
- Costruire un’economia sociale di mercato, dinamica e moderna. Lavoro e stato sociale.
- Cambiare mentalità, cambiare comportamenti. Istituzioni, politica e giustizia.
Il
primo capitolo è l’unico su cui io concordo. In esso si rivendica la maggior credibilità
che l’Italia ha guadagnato da quando Monti è premier, e si illustra la
necessità di rapporti internazionali sempre più multilaterali (quindi non con
una sola super-potenza, vedi gli USA, ma anche con Cina, Brasile India e tutti
i paesi emergenti) in cui però l’Italia non può presentarsi come soggetto a sé
stante: lo deve fare l’Europa, a cui ogni paese membro deve dare deleghe di
sovranità economico-fiscale e concedere maggiori controlli sulla sua politica in
cambio però di una maggiore integrazione comunitaria e meno intergovernativa,
in cui quindi a decidere non siano organi in cui compaiano i governi nazionali
ma assemblee come il Parlamento, per non ridurre l’Unione a un compromesso al
ribasso tra gli interessi dei singoli paesi membri.
Entusiasta
del primo capitolo, sono arrivato al secondo, e qui la mia vecchia anima
vetero-sinistrorsa (o almeno, così mi definirebbero quelli di destra, mentre
paradossalmente per i compagni di SEL sono pure troppo “moderato”,
probabilmente…) ha cominciato a mugugnare. Ricordo che non sono un’economista,
e quindi in caso di errori o tesi poco condivisibili su questo campo sono
aperto a correzioni e suggerimenti, anche a costo di cambiare totalmente quello
che ho scritto.
Si parla
di valorizzare e/o dismettere i beni dello stato al fine di diminuire il debito
pubblico, quando si sa che in questa fase tutte le aziende pubbliche quotate in
borsa hanno valori troppo bassi e gli asset immobiliari sono invendibili per la
crisi del mercato: qualunque dismissione in questo caso sarebbe una svendita.
Sempre
sulla stessa linea bisogna, secondo l’agenda Monti, continuare con le
liberalizzazioni e aprire al privato i beni e i servizi pubblici: che ne è dei
referendum sull’acqua a cui io due anni fa partecipai attivamente sia facendo
campagna politica sia votando con convinzione, come del resto la maggioranza
degli elettori?
Si
evidenzia poi la necessità di puntare su maggiore export, sulla falsariga della
Germania, senza dire però che questo risultato è stato anche frutto di una congiuntura irripetibile (l’entrata in vigore dell’euro e l’apertura totale di un
mercato di 250 milioni di persone con paesi senza la stessa forza industriale, tra le altre cose),
e che in questo paese il potere d’acquisto dei lavoratori negli ultimi dieci
anni non è aumentato: i tedeschi sono, già da prima della
crisi, non sono diventati più ricchi da vent'anni. Personalmente dubito di tutte le ricette
in cui il mercato interno è considerato un orpello inutile e in cui quindi i
salari possono essere abbassati: quanto può andare avanti un’economia i
lavoratori non possono acquistare i beni che essi stessi producono?
Il
programma di Monti risulta poi un po’ inaffidabile su punti come formazione ed
economia verde: in esso si dice che bisogna rimotivare gli insegnanti e legarne
il salario alla produttività, essere intransigenti con chi viola le leggi in
materia di impatto ambientale e riformulare una nuova strategia energetica
nazionale. Guardando i provvedimenti presi dal governo tecnico, non sempre
convertiti in legge, queste affermazioni preoccupano: si voleva aumentarel’orario di lavoro degli insegnanti senza aumentarne lo stipendio, si è
fatto il decreto ILVA, per salvare la proprietà di un’azienda che ha inquinato tantissimo e si è spesso parlato di trasformare l’Italia, che già è in bilancio energetico positivo, in un hub dell’energia, giusto per poterla vendere poi agli
altri paesi. Se il prezzo di tutto ciò sono rigassificatori vicino al centro
città come si vuole fare a Trieste o perforazioni vicino
alla costa adriatica non importa, qui l’ambiente o i territori non contano più,
tant’è che si parla di riportare l’energia a essere una competenza puramente
statale. Di converso non si menzionano mai le energie rinnovabili se non per
rivederne gli incentivi, sicuramente al ribasso (opinione mia). In effetti il
mercato degli incentivi energetici è ormai drogato, ma mi rifiuto di credere
che tagliarli o eliminarli sia l’unico provvedimento che si può prendere a
proposito.
Per
quanto riguarda i punti sui cui posso essere d’accordo, spesso si usano frasi
fatte e programmi vaghi. Si promettono meno burocrazia, maggior accesso al
credito per le imprese, in particolare le PMI, energia meno cara,
giustizia civile più rapida. Si parla di un aumento degli investimenti privati
in ricerca per mezzo di generici incentivi e di maggiore informatizzazione del
paese. Si vuole una politica agricola con un minore utilizzo di superficie
agricola (spero però che questa non venga convertita in terreno edificabile),
una gestione integrata delle acque e una
generica tutela del made in Italy, anche con rilancio del turismo. Come si
intende fare tutte queste cose, però, è poco chiaro.
Ho
lasciato per la fine la parte in cui si parla di ridurre il carico fiscale su
lavoro e impresa a scapito di grandi patrimoni e consumi. Se la riduzione di
cui si parla è opportuna e potrebbe essere un ottimo provvedimento
anti-ciclico, ossia capace di invertire la tendenza economica recessiva
attuale, non capisco come si possa pensare di aumentare la tassa sui consumi,
ed essenzialmente per due motivi. Già ora la nostra IVA è una delle più alte
d’Europa, e non capisco come si possa pensare, in un periodo di forte crisi
come quello attuale, di penalizzare ancora di più i consumi e il potere
d’acquisto dei cittadini e delle famiglie. Inoltre, le imposte indirette come
quelle sui consumi sono tra le più ingiuste, poiché sono uguali per tutti, a
prescindere dal reddito, mentre in questo paese, secondo me, ci sarebbe bisogno
di una redistribuzione del carico fiscale su chi ha maggiori redditi, rendite e
patrimoni, come prevede la costituzione quando parla di progressività
fiscale. Ricordo che l’Italia è uno dei paesi dove la sperequazione della
ricchezza è aumentata di più negli ultimi anni. Monti di sicuro ne è a
conoscenza, ma sa che tassare i consumi è molto più semplice che farlo con le
rendite finanziarie, molto mobili e non menzionate nella lista precedente, pur
essendo già ora tassate con un’aliquota tra le più basse d’Europa. Ancora più
difficile poi è andare a rintracciare l’evasione, quindi egli va sul sicuro coi
consumi, anche se ciò non è equo dal punto di vista sociale e potrebbe forse
essere addirittura inopportuno in questo frangente storico.
Dopo
aver letto il secondo capitolo, ammetto che per i successivi avevo il dente
assai avvelenato, ma anche una successiva rilettura ha solo in maniera
trascurabile smussato tale atteggiamento.
Assieme
a vaghi incentivi per occupazione giovanile e in età avanzata, e a una non meglio
definita minore contrapposizione pubblico-privato nella sanità, cosa che non
capisco: io non voglio che nemmeno un euro pubblico vada a una clinica privata,
sarà demagogico ma io la penso così. Un po’ generici gli slogan sulla mobilità
sociale, che diventano promessa elettorale quando si parla di minori influenze
politiche nei posti pubblici, e sulla politica familiare più forte, pur con un
riferimento positivo ai congedi di paternità.
Apprezzabile
il riferimento a forme di reddito minimo legato ad un impegno attivo di
reinserimento professionale: tu cerchi lavoro e fai corsi, io ti pago un
sussidio di disoccupazione.
Ho
lasciato le cose con cui sono in disaccordo per la fine. Secondo Monti bisognerebbe
incentivare i fondi pensione, quando questi spesso si traducono in perdite economiche per i lavoratori. Si parla di superare il dualismo tra
lavoratori protetti e non protetti: chissà perché, quando sento queste parole,
non si propone mai di aumentare le tutele per i precari, ma solo di ridurre
quelle dei “fissi”. Infine, il vero cavallo di battaglia della destra italiana:
la decentralizzazione della contrattazione salariale. Questo significa, in
termini pratici, la riduzione dell’importanza del contratto di lavoro nazionale
a vantaggio delle trattative a livello della singola impresa. A me pare tanto
semplice che il contratto nazionale dovrebbe servire a garantire per tutti, su
tutto il territorio nazionale, un salario che consenta di vivere in maniera
dignitosa, e che poi su questa base i contratti in ogni singola azienda
dovrebbero riguardare gli incentivi legati alla produttività. Chiaro invece è
l’intento di chi vuole “decentralizzare”: abbassare i salari, perché i
lavoratori, in ogni singola azienda, hanno minor potere contrattuale rispetto a
quando agiscono tutti assieme. A riguardo basta fare un esempio: un conto è uno
sciopero nazionale, che ferma un intero settore per un certo periodo, un altro
le manifestazioni dei lavoratori di una singola azienda, che spesso si rivelano
inutili poiché una grande azienda può sopportare un periodo di fermo in uno
stabilimento se gli altri continuano a produrre, come insegnano le vicende dei
lavoratori FIAT di Pomigliano D’Arco.
In
quest’ultimo capitolo Monti, che sa che i suoi punti forti sono soprattutto la
reputazione internazionale e la competenza economica, ha inserito un po’ di
altri temi, spesso senza un filo conduttore e soprattutto senza quella
chiarezza d’azione che invece riserva per altri temi (vedi tasse sui consumi o
decentralizzazione del contratto di lavoro nazionale).
Si
va dalla modifica della legge elettorale (senza però specificare quale modello
si preferisce), alla lotta all’evasione e alla criminalità organizzata,
passando per un federalismo responsabile (non meglio definito) e alla riduzione
dei contributi pubblici in politica e una loro maggiore trasparenza. Monti,
rendendosi conto che la norma anti-corruzione approvata in Parlamento mancava
di alcuni “dettagli” come falso in bilancio, auto-riciclaggio e termini di
prescrizione, li promette per la prossima legislatura.
Tornando
alla lotta alla criminalità organizzata, si parla di maggiore utilizzo di reati spia e di una migliore legislazione in materia di confisca dei beni
mafiosi, in contrasto con quanto fatto da Berlusconi (vedi norme su intercettazioni) e di maggiore trasparenza negli appalti. Insomma, una
vaghezza generale, anche se in materia di corruzione e criminalità organizzata
si vede qualcosa di più concreto.
Purtroppo
c’è anche qui un punto secondo me negativo: si parla di abbandono della
concertazione tra le parti sociali in favore di una generica consultazione.
Insomma, anziché decidere in consenso con costoro, un governo li ascolta e poi
si fa di testa propria. La cosa è negativa, specie se si pensa che una riforma
importante come quella Dini del 1995 sulle pensioni, che ha sancito
l’adozione del più economicamente sostenibile sistema contributivo invece
di quello retributivo, è stata fatta consultando tutte le parti sociali,
e non come si è fatto, per esempio, in occasione della discussione in
materia di produttività dell’ottobre scorso, in cui si è lasciata
fuori la CGIL, il sindacato più grande.
In
conclusione, vedo in Monti un Berlusconi più presentabile in ambito
internazionale e dal punto di vista dello stile e della giustizia (è
incensurato e non candiderebbe mai un Dell’Utri). Non è poco, ma è comunque un conservatore,
di una destra più classica ed europea e meno demagogica, ma sempre in antitesi
ai temi di chi si sente progressista e di sinistra, specie quelli del lavoro.
L’agenda Monti è per me un insieme di vaghe dichiarazioni d’intenti e più
dettagliate demolizioni dei diritti dei lavoratori.
Segnalo
infine l’articolo di Barbara Spinelli, che analizza il respiro
politico di tale agenda e fa notare come si parla di democrazia solo in
occasione della primavera araba, che invece ha visto purtroppo l’adozione di
costituzioni “religiose” in Egitto e Tunisia. Per dirla in breve,
la Spinelli afferma che l’idea che Monti ha del governare, con il suo voler
dichiarare superata la dicotomia (il dualismo) destra-sinistra, è tipica di chi
vuole annientare la dialettica politica a favore di un sapere tecnico per
definizione giusto e quindi incontrastabile, quando invece la discussione, il
confronto e il compromesso (nella sua più nobile accezione) tra idee diverse
sono il sale della democrazia.
L'importante è che il confronto non diventi strepitio di variegati versi animaleschi: buona notte :)
L'importante è che il confronto non diventi strepitio di variegati versi animaleschi: buona notte :)
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaOgni tecnica rimanda a una metafisica, caro Steve, e la legge elettorale, nonché la prassi politica fondata sul personalismo (in qualche modo una tecnica, per quanto di berlusconiana memoria)ci dicono che la metafisica della politica italiana è un pasticciaccio brutto brutto ... ma stiamo lavorando per voi, a nostro modo ... Concordo con la tua analisi su Monti e ciò che rappresenta: una destra presentabile nella sfera pubblica europea ma non per questo meno pericolosa della destra fallocratica e populista che ci ha governato negli ultimi anni ...
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