In queste settimane Rete 4 sta riproponendo la trilogia de "Il Padrino", un episodio a settimana il sabato sera. In quello scorso era il turno del secondo capitolo, quello che senza giri di parole definisco il migliore della serie.
Non fraintendetemi: il primo è fatto molto bene e ha avuto il merito di lanciare molti attori nuovi (Al Pacino in primis). Però per me il secondo è un capolavoro originalissimo e ricco di spunti di riflessione anche profondi, mentre il primo serve più a farci diventare familiare con un certo mondo (quello mafioso) in generale. Per inciso, il terzo è purtroppo una conclusione a tratti scontata di una serie altrimenti splendida.
Ma perché mi piace così tanto questo capitolo? Innanzi tutto la struttura: essa richiama il formato ideato 2000 anni fa da Plutarco con le sue Vite Parallele, raccontando due biografie aventi alcuni punti in comune. I personaggi di cui si racconta nel film sono Vito e Michael Corleone, rispettivamente padre e figlio e capi della dinastia mafiosa che porta il loro cognome. Entrambi erano apparsi nel primo episodio, dove si aveva modo di vedere la parte finale del "regno" di don Vito e l'inizio di quello di Michael. Nel secondo episodio invece viene raccontata l'ascesa del primo, immigrato dall'Italia, e la "decadenza" del secondo.
Ho messo questo termine tra virgolette perché in realtà anche Micheal riesce a mantenere, se non addirittura ad allargare, l'influenza del suo clan. Il film, però, mostra inevitabilmente un dualismo tra il padre, l'eroe (se si può usare questo termine per un boss mafioso) vincente e il figlio, il "perdente". Se don Vito riesce a costruire il suo clan e a vincere anche nel privato (famiglia numerosa e unita), Micheal (che addirittura nei piani del padre non doveva entrare nel mondo mafioso) nel privato è un disastro. Per quest'ultimo il ruolo di potere e il suo mantenimento a tutti i costi è coinciso col graduale e drammatico disfacimento della sua famiglia (in senso letterale e non criminale del termine): il divorzio, la sorella che dopo la morte del marito (che si era venduto al nemico) passa da una relazione all'altra ed è sempre senza soldi, ma soprattutto il tradimento del fratello, il quale, geloso del fatto che lui, il figlio maggiore, non fosse a capo della famiglia, tradisce il suo stesso clan e per poco non far ammazzare il fratello; la conseguenza di quest'ultimo tradimento sarà la drammatica scena in cui egli viene ammazzato proprio per ordine di Michael (per inciso, trovo la composizione di quest'ultima spettacolare).
Di conseguenza, mentre don Vito rappresenta un vincente, una sorta di lato perverso del sogno americano, l'uomo che si è fatto da solo (idea che ha fatto molto arrabbiare la mia amica statunitense Megan quando gliel'ho esposta), che è diventato potente nel pubblico e vincente nel privato, Michael rappresenta un mondo in cui il denaro è ancora più importante nella conquista del potere e travolge tutto, mettendo tutto il resto va in secondo piano (altrimenti non mi spiego il continuo richiamo dei mafiosi più anziani di lui ai "tempi belli"). Michael vince nel malaffare, ma fallisce nei suoi obiettivi: rendere completamente legale la posizione dei Corleone e tenere unita la sua famiglia (figli, moglie e fratelli). Per questo egli è il perdente, l'eroe decadente, cosa che emerge ancora di più dal confronto con il padre.
Ed è questo per me il bello del film: se il primo episodio serviva soprattutto a presentare un mondo e a raccontarlo, il secondo racconta due personaggi, il mondo visto da loro occhi, la forza del primo e le contraddizioni del secondo. Insomma, è la storia di un ambiente (la mafia) con gli occhi di due grandi personaggi, è il racconto di un pezzo di natura umana, e di quell'infinito universo che esso racchiude.
Ho messo questo termine tra virgolette perché in realtà anche Micheal riesce a mantenere, se non addirittura ad allargare, l'influenza del suo clan. Il film, però, mostra inevitabilmente un dualismo tra il padre, l'eroe (se si può usare questo termine per un boss mafioso) vincente e il figlio, il "perdente". Se don Vito riesce a costruire il suo clan e a vincere anche nel privato (famiglia numerosa e unita), Micheal (che addirittura nei piani del padre non doveva entrare nel mondo mafioso) nel privato è un disastro. Per quest'ultimo il ruolo di potere e il suo mantenimento a tutti i costi è coinciso col graduale e drammatico disfacimento della sua famiglia (in senso letterale e non criminale del termine): il divorzio, la sorella che dopo la morte del marito (che si era venduto al nemico) passa da una relazione all'altra ed è sempre senza soldi, ma soprattutto il tradimento del fratello, il quale, geloso del fatto che lui, il figlio maggiore, non fosse a capo della famiglia, tradisce il suo stesso clan e per poco non far ammazzare il fratello; la conseguenza di quest'ultimo tradimento sarà la drammatica scena in cui egli viene ammazzato proprio per ordine di Michael (per inciso, trovo la composizione di quest'ultima spettacolare).
Di conseguenza, mentre don Vito rappresenta un vincente, una sorta di lato perverso del sogno americano, l'uomo che si è fatto da solo (idea che ha fatto molto arrabbiare la mia amica statunitense Megan quando gliel'ho esposta), che è diventato potente nel pubblico e vincente nel privato, Michael rappresenta un mondo in cui il denaro è ancora più importante nella conquista del potere e travolge tutto, mettendo tutto il resto va in secondo piano (altrimenti non mi spiego il continuo richiamo dei mafiosi più anziani di lui ai "tempi belli"). Michael vince nel malaffare, ma fallisce nei suoi obiettivi: rendere completamente legale la posizione dei Corleone e tenere unita la sua famiglia (figli, moglie e fratelli). Per questo egli è il perdente, l'eroe decadente, cosa che emerge ancora di più dal confronto con il padre.
Ed è questo per me il bello del film: se il primo episodio serviva soprattutto a presentare un mondo e a raccontarlo, il secondo racconta due personaggi, il mondo visto da loro occhi, la forza del primo e le contraddizioni del secondo. Insomma, è la storia di un ambiente (la mafia) con gli occhi di due grandi personaggi, è il racconto di un pezzo di natura umana, e di quell'infinito universo che esso racchiude.
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