Stimolato dal post che ho trovato sul blog di Mattia Butta (che figura tra quelli segnalati nella barra sulla destra), ho maturato un paio di riflessioni sul tema legge elettorale, la cui modifica a ondate figura sui titoli dei giornali o nelle dichiarazioni dei politici (che per fortuna non sono sempre in prima pagina). Per riassumere, egli propone una sua legge elettorale che dovrebbe ridurre al minimo la possibilità di avere una classe elettorale fatta solo da uomini di apparato pronti a farsi guidare dal leader di turno.
Chiarisco una cosa: la legge elettorale non serve a garantire l'elezione dei "migliori", dei più preparati, o degli integerrimi. Le competenze e caratteristiche personali non sono garanzia per la carriera politica (un ottimo primario può essere un pessimo ministro della salute) proprio perché la politica è anch'essa un lavoro, che richiede una certa esperienza e delle abilità specifiche per poter essere fatto al meglio. E quindi non si può fare a colpi di solo "spirito di servizio" o di volontariato, ma qui rischio di divagare...
Tornando al punto, allora a cosa serve una legge elettorale? Vi sono due fini, non sempre in concordia, che un'elezione dovrebbe perseguire: la rappresentatività degli eletti rispetto agli elettori e l'espressione di una chiara maggioranza di governo. Poiché l'opinione pubblica è un animale molto complesso e mutevole è difficile che le sue sfumature possano essere pienamente rappresentate, se non al prezzo di forti rischi di ingovernabilità. Per evitare ciò, in genere si preferiscono sistemi di tipo maggioritario con collegi di tipo uninominale (che possono esprimere un solo eletto), mentre per la rappresentatività si tende ad orientarsi su leggi proporzionali (qui un valido riassunto delle varie possibilità).
Non sempre governabilità e rappresentatività però sono in disaccordo: la Svizzera, per esempio, ha un sistema elettorale in cui ogni partito si candida e prende i suoi voti, e poi i sette posti di governo vengono suddivisi sulla base dei risultati delle liste (la cosiddetta formula magica). Un tale sistema elettorale non ha alcuna preoccupazione per la stabilità di governo, e anzi le maggioranze variabili su specifici provvedimenti sono frequenti (ad esempio, le espulsioni degli stranieri), ma ciò non è visto come un problema. In Italia, almeno formalmente, c'era una cosa simile, il Pentapartito, che ha dato 7 governi in 13 anni, questo a conferma che non è solo la legge elettorale che conta. A riguardo non posso non menzionare i ribaltoni avvenuti anche nel Regno Unito, proprio a scapito della Lady di Ferro Thatcher, pur essendo questa nazione patria del maggioritario uninominale. Questi sono comunque casi estremi: il proporzionale in genere rappresenta bene l'elettorato, a patto di avere una bassa astensione e partiti radicati nella società, e il maggioritario garantisce coalizioni stabili, purché queste siano ben assemblate e non solo basate sul principio del battere l'avversario e la differenza di voti tra i vari schieramenti sia sufficientemente cospicua.
Se invece si vogliono altre cose, bisogna cercare altri rimedi: ad esempio, partiti radicati richiedono una classe dirigente che sappia capire le tendenze politiche e un elettorato partecipe, mentre si hanno coalizioni ben assemblate solo se i loro membri discutono in precedenza ciò che si propongono di fare e se mantengono la parola data agli altri in caso di vittoria elettorale. Per riassumere, servono dei cittadini capaci di formarsi una propria opinione in maniera più o meno consapevole e una classe dirigente di qualità, che può esistere solo se esiste una base ampia di persone di buon livello. Queste cose sono garantite solo da una buona istruzione (e non a caso questo è il settore dove si è tagliato di più negli ultimi anni e si sono fatti disastri) e da mezzi d'informazione indipendenti e seri, non lottizzati né di proprietà degli attori politici.
Sperare che certe cose le dia una legge elettorale è come chiedere a un tostapane di risolvere una complicata equazione: semplicemente, non è lo strumento adatto.
Credo che neanche Mattia si illuda di risolvere il problema con la legge elettorale, infatti la sua proposta vera è questa :-)
RispondiEliminail maggioritario garantisce coalizioni stabili, purché queste siano ben assemblate e non solo basate sul principio del battere l'avversario
Già, solo che in Italia le coalizioni sono solo basate sul principio del battere l'avversario (tant'è che poi si squagliano due mesi dopo le elezioni).
Infatti è questo il guaio: che anziché discutere prima quello che si vuole fare assieme e poi essere leali alla parola data (per quanto la lealtà possa essere una categoria politica), le nostre coalizioni sono solo elettorali, ossia fatte solo per cercare di vincere le elezioni, grumi amorfi che mal possono stare assieme.
EliminaSulla patente elettorale, faccio una citazione cinematografica, parafrasando Marilyn Monroe: "Who chaperones the chaperone?", ossia "Chi controlla il controllore?" Perché poi il problema è decidere chi ha il diritto di stabilire chi può votare e chi no, e lì sono cazzi...
Per volare più alti con le citazioni, posso dire che la scarsa qualità dell'elettore come problema per qualunque società basata sul suffragio universale è un tema vecchio come la democrazia: già ai tempi di Pericle circolava un testo di un anonimo, intitolato "La democrazia come violenza", che comprendeva frasi come "I migliori vogliono il governo dei soli migliori, mentre i peggiori vogliono il governo di tutti" (cito a memoria, non pretendete che sia esatto). Il fatto è che far votare tutti è meno peggio che lasciare ogni cosa in mano a un'élite che spesso, anziché essere aristocrazia (ossia il potere dei migliori) si rivela soprattutto come "oligarchia" (governo dei pochi).
Proprio per questo in fondo quello che propongo è una partecipazione diffusa: una democrazia in cui sia attivo politicamente l'8 o il 10% della popolazione (da questa quota escludo gli eletti) avrebbe l'effetto di una positiva minoranza trainante. I trend migliori, una volta raggiunta una diffusione sufficiente, poi sono travolgenti. Per queste cose però, appunto, servono tra le altre cose un'adeguata istruzione, che ti insegni a ragionare e a comprendere il mondo, e un'informazione indipendente, che non sia bugiarda nel presentare i fatti, tutte cose che richiedono tempo, e per le quali ritengo già spacciata la mia generazione. Speriamo negli odierni adolescenti...