Oggi,
mentre mi godevo il divano di casa da mia madre in Italia prima di partire per il
Capodanno in Val Pusteria, ho ricevuto una chiamata da una gradevole voce
femminile che mi diceva di essere dell’istituto di indagini statistiche IPSOS. La
pulzella voleva sapere cosa voterò alle prossime elezioni, quali candidati
premier riscuotono la mia stima e chi penso che vincerà a livello nazionale e regionale
(Friuli Venezia Giulia).
Premetto
che ricevere una chiamata da uno di questi istituti è sempre stato un mio sogno
nel cassetto: lo so, mi accontento di poco, ma sono e sarò sempre un campagnolo
provincialotto. Il mio scopo comunque è prendere spunto da questa circostanza
per parlare di un argomento che ha sempre suscitato il mio interesse: le
rilevazioni statistiche, appunto.
Il
loro fine è cercare di cogliere delle tendenze in un determinato segmento di
popolazione per aiutare un fornitore di prodotti a orientarsi sul mercato:
tipico esempio è quello di un’azienda di cellulari che vuole comprendere quali
siano le caratteristiche più apprezzate in un telefonino (design, connettività,
accessori etc.) e quindi progettarne uno che possa venire incontro alle
richieste dei consumatori.
E la
politica come s’inserisce in tutto ciò? In effetti, si può pensare che i
fornitori siano i partiti, la merce presentata sul mercato elettorale i
programmi e i candidati e il consenso elettorale il metro per decidere il
successo dei prodotti presentati. Tale accostamento politica-mercato è
totalmente neutro, anche se so che al compagno Smarmello non piacerà: con esso
non voglio intendere le forme degenerate di politica, come il voto di scambio e
il mercanteggiare delle preferenze.
Detto
ciò, cogliere delle tendenze tra i consumatori con indagini statistiche condotte
tramite interviste è complicato, perché richiede alcuni assunti non sempre
facili da soddisfare. Questi sono:
- · la rappresentatività del campione d’indagine scelto;
- · la correttezza del modo di porre le domande;
- · la sincerità di chi risponde.
Il
primo punto è importante perché le leggi della statistica ci dicono che, se si
vuole capire cosa pensa un gruppo di persone su un determinato argomento, non è
necessario fare domande a tutti i suoi membri: basta selezionare accuratamente
un sottoinsieme che sia rappresentativo. Questo è un concetto delicato, perché
se l’intera popolazione (in statistica detta universo) è composta in maggioranza da uomini, bisogna scegliere un
sottogruppo che sia anch’esso composto in maggioranza da uomini, possibilmente
con la stessa percentuale dell’insieme universo. Il problema è che ci sono
potenzialmente infinite caratteristiche di cui tenere conto (sesso, titolo d’istruzione,
occupazione), quindi se ne scelgono alcune, quelle che si ritengono importanti:
sempre per continuare con l’esempio dei telefonini, all’azienda può interessare
l’età dell’acquirente, non certo il colore dei suoi capelli, che si ritiene
totalmente scollegato dai suoi gusti in fatto di cellulari.
Il
modo in cui si pongono le domande è importante perché esso influenza la
risposta che viene data. A riguardo è famoso l’esempio di un sondaggio condotto
tra i cittadini statunitensi in piena guerra del Vietnam, per capire il
consenso nei confronti di quel conflitto. In esso la stessa domanda fu posta in
tre modi diversi: “È favorevole all’invio dei nostri soldati in Vietnam”, “Qual
è la sua opinione sull’invio dei nostri ragazzi in Vietnam” e “Cosa ne pensa
sull’invio dei nostri figli in Vietnam”. Alla prima domanda hanno risposto
positivamente molte più persone della seconda, che ha comunque ricevuto più
consensi della terza, per la quale il consenso era praticamente nullo: questo
perché è (non tanto secondo me, ma non importa) comprensibile che uno possa
essere favorevole a una guerra, ma pochi vogliono che i loro figli siano
mandati al fronte.
La
sincerità di chi risponde, infine, è ovviamente fondamentale: se i primi due
requisiti sono soddisfatti ma gli intervistati rispondono in maniera non
sincera, l’indagine statistica è da buttare.
Mentre
i primi due presupposti sono comuni a qualunque indagine statistica, il terzo
assume particolare importanza per i sondaggi elettorali. Per fare due esempi,
la Democrazia Cristiana riportava sempre più consenso nelle urne che nelle
rilevazioni pre-elettorali: questo perché gli elettori di quel partito erano
meno propensi a rivelare il proprio voto rispetto, ad esempio, a quelli del
Partito Comunista Italiano. La stessa cosa accadeva, e secondo me accadrà
nuovamente, con Berlusconi: molti non se la sentono di ammettere pubblicamente
il loro favore nei suoi confronti, magari ne parlano pure male, però alla fine
lo votano, come successe nel 2006, quando tutti i sondaggi davano per favorita
la coalizione dell’Unione, per poi avere un sostanziale pareggio alle elezioni.
Ovviamente
la sincerità delle risposte dipende anche da come vengono poste le domande: per
fare un esempio riguardante il mio caso, mi è stato chiesto quale coalizione
secondo me avrebbe vinto a livello nazionale, al che io ho controbattuto
domandando se s’intende come vittoria l’ottenere più voti oppure avere la
maggioranza nelle due camere. Ho chiesto questo perché con la legge elettorale
di oggi è possibile che chi ottenga più voti a livello nazionale non abbia la
maggioranza al Senato, poiché il meccanismo di distribuzione dei seggi in
questo ramo del Parlamento è deciso su scala regionale, e basta quindi
conquistare per pochi voti quattro o cinque regioni (quelle più popolose) per
ottenere la maggioranza. Quando la sondaggista mi ha risposto che s’intendeva
semplicemente quale partito avrebbe avuto più voti, ho risposto dando come
vincitori PD-SEL. Se invece si fosse parlato di maggioranza nelle due camere,
avrei probabilmente optato per una situazione senza vincitori.
Inoltre,
spesso i sondaggi vengono usati per influenzare il voto. In questo Berlusconi è
un maestro, e usa la più piccola risalita nei sondaggi per convincere gli
elettori a votarlo: è facile comprendere come un indeciso possa scegliere più
volentieri di votare un partito che sembra vincente piuttosto di uno che consegue
pochi consensi.
Infine,
due parole su quello che commercialmente si chiama il target dei sondaggi: per i partiti, come per le aziende, può essere
importante cercare di comprendere l’opinione di una precisa fetta di
elettorato. A me, durante la telefonata di oggi, proprio alla fine, è stato
chiesto con che regolarità vado io a messa. L’istituto IPSOS (e probabilmente anche
il committente) era interessato a capire l’orientamento dell’elettorato
cattolico, anche perché ci sono due coalizioni a queste elezioni che se lo
contendono: quella attorno a Berlusconi, finora depositaria di tale consenso, e
quella centrista di Monti, per la quale la Chiesa si è palesemente schierata.
Interessante in questo caso sarà quindi capire quanto i credenti seguiranno le
indicazioni del clero.
La
morale di questo post? I sondaggi sono uno strumento delicato, che spesso viene
usato in maniera impropria. Quando ne vediamo uno in televisione, sui giornali
o sui siti internet, dovremmo cercare di capire innanzitutto il committente e
chi compie la rilevazione: storicamente, ad esempio, l’istituto di Pagnoncelli IPSOS è sempre più favorevole al PD nei suoi risultati, anche perché questo partito è
un suo cliente sin dai tempi dei DS, per non parlare poi della simbiosi Datamedia-Berlusconi. Successivamente, sarebbe bene capire anche qual è il
segmento elettorale che si vuole monitorare, ma questo purtroppo è spesso dato
solo in piccolo e comunque in maniera poco visibile, rimandando poi a una
pagina Web molto lunga e poco leggibile. Per avere idee un po’ più precise su
come si muove il consenso elettorale, propongo di consultare il sito www.termometropolitico.it/sondaggi:
in esso viene calcolata una media delle intenzioni di voto rilevate da diversi
istituti di ricerca, filtrando così le possibili sorgenti di imprecisione nelle
rilevazioni statistiche.
Per ringraziarvi e per farvi i miei auguri di buon anno, non potevo non scegliere questa canzone dei REM, tratta dall'album Document: buon anno :)
Il compagno Smarmello è consapevole delle relazioni intercorrenti tra mercato e politica e per questo non reputa inutile analizzarle. Credo allo stesso tempo che sia difficile per molti di noi a Sinistra appoggiare un modello di elettore-cittadino forgiato su quello del consumatore (per quanto questo consumatore possa essere sensibile e informato). Il cittadino-elettore che ho in mente non consuma, al contrario, partecipa attivamente, prova delle emozioni, è un innamorato della polis, della res publica, razionale a tratti, scontroso, contento solo se può dire la sua e scontento nel momento stesso in cui la dice, polifonico, narcisista etico, onesto, vulnerabile e forte, intelligente e ingenuo, stratega, de core, de panza ... il cittadino-elettore che ho in mente è uomo - donna, o meglio, "Mensch", per dirla alla tedesca (uomo e donna sono termini che, anche se associati, escludono) ... Il cittadino-elettore merita più di un sondaggio ma per ora accontentiamoci e rispondiamo con sincerità, con il cuore che, non occorre ricordarlo, batte sempre a Sinistra ...
RispondiEliminaCaro Smarmello
Eliminahai perfettamente ragione, infatti non era mia intenzione dire che vedo la politica come un mercato fatto di consumatori. Gli elettori, almeno idealmente, non sono limitati solo alla scelta e al consenso, ma possono anche a loro volta diventare fornitori di idee. La modellizzazione politica-mercato è quella alla base dei sondaggisti: non avrebbe altrimenti senso usare lo stesso strumento se il modello di partenza non fosse lo stesso, per quanto approssimativamente.
E comunque, come dice Ilvo Diamanti nella sua ultima "Bussola" http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2013/01/04/news/io_sono_un_conservatore-49882360/?ref=HREA-1 su Repubblica, vorrei anch'io meno sondaggi e più sezioni.