sabato 16 agosto 2014

Per (s)fortuna dell'Iraq c'è Di Battista

Lui sì che in ogni situazione sa prendere
il toro per le corna...
Siamo nel weekend di Ferragosto. La politica, dopo la più pacifica votazione sulla Costituzione dall'invasione degli Unni a oggi, è in ferie, e i mezzi di comunicazione parlano d'altro. Per gli ossessionati come me questo è un vuoto difficile da sopportare, ma per fortuna ci pensa il civitonico (no, non è una razza aliena, è la denominazione degli abitanti di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, famosa per le sue ceramiche) Di Battista a fornirmi del materiale.

Dopo un bel po' di tempo nel quale non si registravano sue affermazioni significative (non voglio dire che non continuasse a usare Facebook in maniera compulsiva, ma semplicemente non se lo filava nessuno) ha approfittato del silenzio altrui per mettersi in evidenza, con una lunga e articolata dissertazione sul Medio Oriente che copre, nell'arco di una postessa, (bisognerebbe inventare un corrispondente di articolessa per il web 2.0), un secolo di storia: pluf, tutto in un soffio.


Tutto è partito dal sito di "La Repubblica", dove ho trovato un articolo in cui si citava un suo intervento sul sito del suo guru Grillo, con il quale praticamente egli giustificherebbe le azioni dell'ISIS in quanto atti di resistenza contro gli Stati Uniti. Questo gruppo riceve oggi l'attenzione dei media per le sue azioni sanguinarie in Iraq e in Siria, e ha costituito un califfato islamico nei territori da esso occupati, dove vige la stretta osservanza della Sharia. In tutta sincerità, leggendo questo articolo ho pensato "Questa volta stanno esagerando, sono convinto che Di Battista, per quanto la mia stima per lui sia bassa, non possa aver detto niente del genere". Mi sono così deciso a leggere il suo intervento alla fonte. Sfoglio sempre il sito di Beppe Grillo malvolentieri, perché così, per informarmi su quanto dice il M5S o uno dei suoi esponenti, anziché essere libero di andare su un loro sito, devo indirettamente far arricchire Grillo e Casaleggio (se il loro sito ha tante visite, è più appetibile per gli inserzionisti pubblicitari), ma vabbeh, era un po' di tempo che non lo facevo. Per discolparmi, magari comprerò un libro, sperando di rimediare, con il mio gesto a favore della cultura, al mio indiretto sostegno dato così alle tante sciocchezze che circolano su quel sito.

Come già menzionato in precedenza, in un profluvio ininterrotto (almeno su questo siamo simili) il Di Battista si lancia in un'analisi di cent'anni di storia mediorientale, partendo dalla spartizione dei resti dell'Impero Ottomano, dissoltosi dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, per giungere ai giorni nostri. La tesi di questo suo intervento è che le politiche occidentali in questo angolo di mondo sono responsabili della situazione attuale in Iraq, e che per poter risolvere la situazione bisogna trattare con chiunque, ISIS compreso, in quanto tutti coloro che oggi operano con la violenza da quelle parti non sono altro che una reazione fisiologica al disordine portato dagli esportatori di democrazia. Il suo articolo è diviso un due parti: un excursus storico e una serie di proposte per risolvere la crisi irachena.

Pur essendo ricco di inesattezze, la prima parte del suo intervento contiene molte cose vere: le critiche alla politica statunitense troppo legata agli interessi delle industrie militari e petrolifere è tutto sommato condivisibile, e ad essa sono imputabili molti episodi bui della storia recente. Di Battista comincia citando la costituzione di uno stato iracheno negli anni '20 che includeva "etnie" che già si odiavano tra loro (curdi, sciiti e sunniti, le stesse di oggi), per continuare menzionando le dittature, le guerre e i rovesciamenti di regimi legittimamente eletti in paesi la cui unica "colpa" è avere risorse naturali che fanno gola alle industrie USA: oltre al già citato Iraq vengono ricordati Congo-Kinshasa e Guatemala. Curiosa la dimenticanza del Cile, il caso forse più clamoroso, ma vabbeh... Egli prosegue poi con le ipocrisie americane nei confronti dell'Iraq di Saddam Hussein, comodo quando contrastava l'Iran, scomodo quando il suo petrolio andava sfruttato e le industrie militari avevano solo di che guadagnarci da una guerra. In tutto ciò non si è fatto nemmeno mancare una digressione su Enrico Mattei. In questa sua analisi dico sin da subito che ha preso una colossale cantonata e proprio su Mattei non mancano numerose omissioni.
Abd al-Karim Qasim
(fonte: Wikipedia)
La cantonata riguarda l'Iraq e la morte di Abd al-Karim Qasim, predecessore proprio di Saddam Hussein, da Di Battista attribuita agli Stati Uniti, che non avrebbero accettato la nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi: per dare maggior sostegno alla sua tesi cita la stessa pagina di Wikipedia da me inclusa in questo mio articolo. Peccato che in essa si dica qualcosa di totalmente diverso: 

Qāsim fu trucidato all'età di 49 anni, in seguito a un riuscito colpo di Stato che ebbe il sostegno degli elementi panarabi sostenuti dell''Egitto.

Eh sì, la sua morte avvenne per mano di chi voleva, come l'Egitto, creare una specie di "Stati Uniti d'Arabia", o almeno questo è quanto scrive la fonte che secondo Di Battista dovrebbe confermare la sua tesi. Io non so come stiano le cose, non ho fatto ricerche a riguardo, e sono convinto che Qasim non piacesse alle multinazionali USA, ma se citi qualcosa per corroborare la tua tesi sarebbe opportuno leggerla prima. Evidentemente per lui è tempo perso: tanto, chi vuoi che vada a controllare?

Le omissioni su Enrico Mattei invece sono di tutt'altro tipo: nel modo in cui lo cita sembra aderire a coloro che lo dipingono come un patriota a favore dei diritti del terzo mondo ucciso dalle cattive multinazionali. Per chi volesse approfondire la storia di quest'uomo consiglio la puntata di "Blu Notte", trasmissione RAI condotta da Carlo Lucarelli, dedicata alla morte dell'ex dirigente dell'ENI.
Enrico Mattei (fonte: Wikipedia)
Appurato che la giustizia italiana su questo punto dice effettivamente che l'incidente aereo in cui è morto è stato causato da una carica di tritolo, il Di Battista si scorda alcune cose per le quali, oggi lo chiamerebbe "Ka$ta": i fondi neri usati per finanziare i partiti (un po' come Tanzi, con la differenza che almeno quest'ultimo non usava soldi pubblici per questo scopo), o le trivellazioni e i condotti installati all'insaputa delle comunità locali per evitare la loro protesta (strana dimenticanza per chi fa del no alla TAV in Val di Susa una battaglia primaria). Mi si risponderà che buona parte del boom economico italiano degli anni '50 è dovuto alla politica ENI, che riusciva a fornire petrolio a basso costo alle industrie italiane e garantiva condizioni migliori ai paesi esportatori. La cosa è parzialmente vera, ma in realtà le seconde erano semplicemente fatte per battere la concorrenza, non certo per filantropia, e le ricadute positive sull'economia italiana nascevano dal fatto che la convinzione di Mattei che ciò che faceva bene all'ENI era salutare per l'Italia era in buona parte vera. Certo, cosa volevi che importassero le opinioni delle comunità locali, che per Mattei erano solo ostruzionismo sulla via del progresso. Non si capisce però perché, se certe affermazioni le facevano, in parte a ragion veduta, Agnelli per la FIAT, o la General Motors, allora era una pericolosa confusione tra interessi di parte e bene comune, mentre Mattei è un santo. In più, oltre alla CIA e alle compagnie petroliere USA, altri possibili mandanti dell'uccisione di Mattei includono i nazionalisti francesi dell'OAS, che erano contro l'indipendenza algerina (Mattei stava stringendo accordi con i ribelli per lo sfruttamento del gas dopo l'autonomia dalla Francia) ed Enrico Cefis, liquidato proprio da Mattei dopo anni di vice-presidenza ENI. Quando non ci sono verità storiche accertate, o si citano tutte le ipotesi o si portano prove a sostegno di quella che si sostiene, ma Di Battista, nel suo furore ideologico (non male per chi si presenta come post-ideologico) non fa nessuna delle due cose.

Il meglio di sé lo dà però nelle sue proposte per risolvere la crisi irachena. Coerente con la sua convinzione che gli USA siano il male assoluto, egli sostiene che chiunque si opponga ad essi, ISIS compreso, sia come i partigiani italiani che lottavano contro l'occupazione nazista cominciata dopo l'8 settembre 1943 (non fa questo paragone, ma il senso è lo stesso). In particolare, l'obiettivo dell'ISIS sarebbe per lui

la messa in discussione di alcuni stati-nazione imposti dall'occidente dopo la I guerra mondiale [e] il processo di nascita di nuove realtà su base etnica.

Insomma, per capirsi, l'obiettivo sarebbe di dissolvere lo stato iracheno favorendo la nascita di nuove nazioni per curdi, sciiti e sunniti. Ora, a parte la confusione tra i termini "religione" ed "etnia" (i curdi sono un'etnia, ma sciiti e sunniti sono differenti confessioni dell'Islam, un po' come cattolici e protestanti), egli dimostra una crassa ignoranza su cosa sia l'ISIS. Non si capirebbero, seguendo la logica di Di Battista, gli attacchi dell'ISIS alla regione irachena dei curdi, che praticamente si amministrano già da soli. Per capire quali siano gli obiettivi politici di costoro consiglio la lettura di questa scheda, in cui si ricorda l'obiettivo dell'ISIS, di ispirazione sunnita, di governare anche regioni a maggioranza sciita: altro che l'autodeterminazione dei popoli... È pur vero che molti sunniti ed ex sostenitori del regime di Saddam Hussein si sono schierati al fianco dell'ISIS, ma questo accade perché il leader sciita Al-Maliki stava portando avanti una politica puramente repressiva nei confronti delle altre componenti religiose. Per questo quindi, più che trattare l'ISIS come un interlocutore affidabile, si è fatto bene a spingere sul governo iracheno per cambiare il modo in cui tratta i sunniti. Opportuna è stata quindi la scelta del parlamento iracheno su pressione anche degli USA, di deporre l'ex premier. Ora bisogna coinvolgere coloro che si erano affiancati all'ISIS proprio per toglierle quel sostegno senza il quale diventa solo un gruppuscolo di terroristi, non di certo parlare con loro.

Composizione etnico-religiosa della popolazione irachena.
(Fonte: Treccani)
Ma è soprattutto la proposta di assecondare i processi di frazionamento politico degli stati mediorientali a non avere alcun senso. In Iraq, ad esempio, solo la regione curda è omogenea dal punto di vista etnico-religioso, altrimenti il resto del paese vede un miscuglio tra sciiti e sunniti in cui è difficile tracciare dei confini: la stessa Baghdad è divisa in quartieri occupati da una delle due confessioni o addirittura da entrambe. Come si può pensare di ignorare l'inevitabile processo di rimescolamento che accade in un territorio con più confessioni religiose amministrato per lungo tempo da una stessa autorità? Non può sempre funzionare bene, e non può né nel caso dell'Iraq, né in altri: secondo questa logica, tutti gli stati nati dalla dissoluzione dell'URSS dovrebbero dividersi tra entità nazionali filo-russe e locali. Si pensi ad esempio allo scrittore di nazionalità russa Lilin ma di cittadinanza moldava, o al caso dell'Ucraina, in cui una divisione su base etnica tra russi e ucraini è se non altro ardua, come mostra la mappa sottostante.

La composizione della popolazione ucraina. (Fonte: Limes)

Proprio su questo tema l'amico di questo blog Marco Magini (a proposito, comprate il suo libro, fate i bravi) scriveva che

L'importanza di mantenere un'Ucraina unita e pacificata va molto aldilà della difesa di uno stato sovrano invaso da un ingombrante vicino [...] Quello ucraino non è che l'ultimo esempio di come il nazionalismo sia l'ideologia che minaccia oggi le democrazie liberali

Per concludere, pensate al solo fatto che la Bosnia-Herzegovina come oggi la conosciamo non esisterebbe neanche, e chissà se quella regione sarebbe rimasta relativamente stabile se si fosse applicato un criterio come quello che Di Battista propone per l'Iraq. Se queste sono le "facce nuove competenti", rivoglio addirittura Andreotti e Craxi: almeno loro non proponevano soluzioni che avrebbero causato solo conflitti permanenti...