sabato 31 maggio 2014

UKIP or not UKIP?

Grillo e Farage avvinazzati come me e Zurota nei cari
vecchi sabato sera zurighesi.
Lo stupore di molti militanti M5S per la mossa di avvicinamento di Grillo a Farage mostra secondo me quanto molti di costoro non abbiano capito la vera natura di tale partito, né conoscano le realtà al di fuori dall'Italia.
A dire frasi come "Noi non siamo né di destra né di sinistra" nel nostro continente sono partiti chiaramente di destra che ipocritamente nascondono le loro brutture peggiori per poter essere più presentabili: la Le Pen in Francia (cosa che suo padre, orgogliosamente di destra, non avrebbe mai fatto), gli euroscettici danesi e finlandesi, addirittura i nazisti in Grecia. Con ciò non voglio affermare che attualmente il M5S sia un movimento di destra: d'altronde, secondo un recente studio IPSOS la maggior parte di chi ha votato tale movimento alle ultime elezioni europee si dice non ascrivibile alla dicotomia destra-sinistra. La sua evoluzione però, coerentemente a quanto avvenuto in altri casi, sarà quella. Questo perché in Italia ogni spazio a sinistra è chiuso dal PD di Renzi (paradossalmente, direbbe qualcuno), mentre sull'altro versante il declino da basso impero di Berlusconi apre terre di conquista sterminate. 
Grillo e Casaleggio, che non ragionano in termini di ideologia ma di marketing elettorale, lo sanno e stanno virando in quella direzione. A riprova che questo è il loro atteggiamento, come interpretare altrimenti che dichiarazioni come "Berlusconi è stato l'ultimo presidente eletto legittimamente" (dimostrando tra l'altro crassa ignoranza sulla Costituzione), oppure quelle sulla peste rossa, vengano da chi poi parla di M5S legittimo erede di Berlinguer (alla faccia della novità), per anni segretario dello stesso partito che si condanna per come hanno amministrato le regioni del Centro-Italia? Marketing elettorale: si cerca con queste mosse di attrarre voti da ogni parte.
Sulla questione alleanze europee è stato promesso il voto della rete: ma cosa succederebbe se il sì a Farage passasse o, peggio ancora, se ciò non accadesse ma poi ci fosse da parte di Grillo e Casaleggio uno strappo rispetto alla volontà espressa online (cosa già accaduta nel famigerato incontro Renzi-Grillo)? Non invidierei in questo caso gli attivisti: andarsene e fare un movimento proprio (ricordo che il simbolo M5S può essere usato solo su licenza di Grillo, come un franchising), con la quasi certezza di fare la fine di Favia (per cui posso anche avere rispetto personale, ma non rappresenta quasi nessuno politicamente), o restare, e così essere destinati a ingoiare bocconi peggiori di quelli che molti di loro mi dicono che devo io sopportare in quanto militante PD? Davvero, non li invidierei.
L'opzione "Niente Farage" sarebbe la condanna del M5S all'ininfluenza in Europa: non potrebbe far parte di un gruppo parlamentare, e quindi non potrebbe aspirare a qualche incarico in commissioni parlamentari o simili. Insomma, non si prospettano tempi sereni per il M5S in Europa. 
E mi fermo qui: fare appelli elettorali ora sarebbe di cattivo gusto, e poi li ho già fatti altrove.
P.S.: per chi non sappia chi sia Nigel Farage, ecco un pout-pourri delle sue frasi più significative.

giovedì 22 maggio 2014

Il #voto per le #ElezioniEuropee in Gran Bretagna

Non potendo tornare in Italia per partecipare alle elezioni europee, ed essendo arrivato in Gran Bretagna solo quando ormai la scadenza per la registrazione per poter votare i candidati italiani da qui era già passata, ho deciso di avvalermi del diritto, garantito a tutti i cittadini dell'Unione Europea residenti fuori dal proprio paese, di votare per i candidati della nazione in cui si vive.
La scelta del partito da votare è stata immediata: laburista, data la comune appartenenza ideale e alla famiglia del socialismo europeo. Perché scrivere questo post, allora?
Perché io, da persona con pluriennale esperienza nei seggi elettorali (come scrutatore e segretario) sono rimasto basito dagli standard infrastrutturali e procedurali del voto da queste parti.


Per noi andare al seggio significa spesso recarsi in una scuola, con all'ingresso un carabiniere, un poliziotto o un equivalente ufficiale di pubblica sicurezza all'ingresso che si annoia o ci prova con le elettrici carine che si presentano. In seguito, al momento del ritiro della scheda, ci vengono richiesti un documento (cosa che in realtà nel mio paese non accadeva, ci conoscevamo tutti e per legge basta il riconoscimento di un membro del seggio per l'accertamento dell'identità dell'elettore) e la tessera elettorale, ci viene data una scheda stampata a colori solo dalla tipografia autorizzata dall'appalto e veniamo invitati ad entrare in una cabina elettorale che ci nasconde totalmente alla vista degli altri.
Il seggio elettorale di Whiteley
Immaginate la mia sorpresa quando ho scoperto che il mio seggio era nel centro ricreativo (come tradurre altrimenti "leisure centre"?) del paese, dove le signore vanno a fare yoga e a sorseggiare il thé e i maschietti ad allenarsi ai pesi e bere birra.
Ma vabbeh, in fondo cosa importa, un luogo vale l'altro. Al seggio faccio vedere il certificato elettorale che ho ricevuto per posta: a parte che non era obbligatorio portarlo con sé, ma nessuno mi ha controllato un documento, pur dopo aver chiesto come funziona la procedura visto che era la mia prima volta in Gran Bretagna (per di più, si sono fidati di me nonostante il mio vistoso accento italico). Il meglio però è stata la scheda elettorale: una fotocopia dell'originale. Mi sono infine recato alla cabina elettorale, che in realtà era un lungo tavolino con dei separés a delineare gli spazi destinati a ciascun votante, stando in piedi con le spalle rivolte alle persone del seggio (che erano tre, mentre in Italia ce ne sono 6...), che non dovevano fare alcuna registrazione, tranne depennare il mio codice sul registro. In Italia invece al momento del voto ogni scrutatore deve compilare sia il registro comunale (per l'identificazione), sia quello degli elettori (con estremi del documento d'identità e numero di tessera elettorale), mentre prima del voto deve controllare e vidimare tutte le schede, che vanno in seguito timbrate dal presidente di seggio.
Inizialmente viene da sorridere, perché una mente come me abituata a questi formalismi ritiene dilettantesca l'organizzazione britannica del voto, ma poi... Ma poi penso che tutti questi passaggi noi in Italia li facciamo perché non ci fidiamo di nessuno, siamo sempre pronti ad aspettarci la fregatura dietro l'angolo, e spesso non senza ragione... D'altronde, la tipologia di procedure elettorali non è di per sé garanzia di democraticità: pensate ad esempio all'Afghanistan, dove l'elettore deve addirittura immergere il dito in un inchiostro indelebile, in modo da essere sicuri che non possa votare due volte, e poi ricordatevi di quanto sia matura la vita politica da quelle parti.
Insomma, forse è proprio la serietà del corpo elettorale a garantire la correttezza del voto, più che i bizantinismi nostrani.
P.S.: ho poi scoperto che il mio seggio era tutto sommato tra i più normali: controllate questa galleria fotografica tratta dal Guardian per capire che intendo.
P.P.S.: la nostra seguace Eleonora ci ha inviato la foto del suo seggio elettorale: gli inglesi, l'avrete capito, sono spartani...

mercoledì 21 maggio 2014

è tutto un complotto

Ciao a tutti, chi non muore si rivede penserà qualcuno!

Finalmente ho un po' di tempo nel quale posso dedicarmi a scrivere cialtronerie, come direbbe Steve.
C'è un argomento che mi tormenta da un po' di tempo: le scie chimiche. Perché sono tormentata da questo argomento? Perché ne sento di tutti i colori e, avendone studiato un po' di atmosfera, mi si rivolta lo stomaco a sentir parlare certa gente, anzi la ggggente (omaggio a Zurota se non si era capito).
Allora partendo dal fatto che le scie chimiche non esistono, ma esistono le scie di condensazione che non sono il prodotto di chissà quale società segreta intenta a distruggere l'uomo, ma bensì la condensazione del vapore acqueo che possono formarsi al passaggio di qualsiasi aereo.
Non mi voglio dilungare sulla parte scientifica (di cui in realtà ne so abbastanza, ma mi annoia) con cui si può distruggere qualsiasi teoria complottistica di questo genere, ma sulla parte antropologica (di cui ne so meno, ma mi interessa).
Sono stata tirata in causa per vedere e commentare un video dei complottisti, per prima cosa parlano di un loro indefinito (nuovo ordine mondiale?, politici?, alieni?, governi?, cretini che diffondono notizie false e tendenziose su internet?), questi loro vogliono distruggere il pianeta o controllare le menti e noi poveri idioti che non ci crediamo siamo controllati, mentre su pochi ''eletti'' non funziona. Vabbè.
Qualche mese fa c'è stata addirittura una manifestazione, mi sembra a Ferrara, di persone che chiedevano lo stop alle scie chimiche, ma che passa per la testa di questa gente? Perchè pensano che c'è un male superiore? Allora facevano prima a credere a una religione, almeno era un bene superiore! Poi ti chiedono addirittura di commentare i loro vaneggiamenti (anzi quelli di qualche sconosciuto che si dice meteoreologo), tu rispondi e poi ti dicono che il sistema ti ha inglobato, fatto il lavaggio del cervello, bo. E io che ho studiato a fare? Davvero è demoralizzante, prima ti fai un culo tanto per studiare cose di cui non puoi parlare se non con quelli che hanno fatto i tuoi stessi studi, dopodiché vedi una luce quando ti cominciano a chiedere cose sull'ambiente e tu ti ci metti con il cuore (e la testa), glielo spieghi..... e poi..... ti dicono che ti hanno fatto il lavaggio del cervello! Non ci sto, vi prego voglio iniziare una teoria del complotto che dice che le teorie del complotto sono fatte per distogliere l'attenzione dal vero problema: IL CAMBIAMENTO CLIMATICO. Perché allora nessuno fa una manifestazione per chiedere ai governi regole più rigide sulla salvaguardia dell'ambiente, perché mi devo sentire 'ste stronzate invece di parlare di cose serie? Bo? Forse i complotti sono più interessanti della realtà, allora la prossima volta non chiedetemi niente e andatevi a comprare un giallo di Agatha Cristie, ve lo assicuro è più interessante (e soprattutto alla fine ti dice pure chi è stato!)

giovedì 15 maggio 2014

Gli antichi greci la sapevano lunga... - Internet, social media e informazione

Lo so, questo blog è pieno di articoli che promettevano l'inizio di una serie a tema (film, libri, ecc.), ma i creativi sono così: iniziano una cosa e poi esplorano altre strade.
Oggi inauguro quindi una nuova trafila di post dedicati a quanto (almeno a mio parere) nella filosofia, nella mitologia e insomma in tutto ciò che è prodotto culturale dell'antica Grecia si possono trovare degli spunti di riflessione validi ancora oggi.
Lo ammetto: io sono malato per l'antica Grecia. Andai in estasi quando nella gita scolastica in quinta superiore visitai l'Acropoli di Atene, salvo poi essere bruscamente risvegliato dalla metropolitana che passava per la vicina fermata. Quanto vicina? Guardate la mappa e capirete perché stava per venirmi un colpo apoplettico. 


Solo per non far fare una brutta figura alla mia amica Eleonora, che mi ha recentemente accompagnato a vedere il British Museum, non ho fatto scene simili di fronte ai fregi del Partenone che gli inglesi hanno rub... ehm, recuperato quasi tre secoli fa.
Comunque, oggi voglio parlare di tecnologia, in particolare dell'informazione ai tempi di internet e dei social media. Qualcuno si chiederà come possa la cultura della Grecia antica aver partorito qualcosa di significativo su questo tema. Ovviamente Socrate ai suoi tempi non usava Twitter, anche se cercando in rete ho scoperto che esiste un profilo a suo nome.



Se però il tema è l'informazione ai tempi del web 2.0, allora si trova uno spunto interessante nel dialogo di Platone intitolato FedroQuesto è uno dei più bei testi scritti del grande filosofo, e dice molto della cultura greca. Basta pensare all'inizio del dialogo, che recita

SOCRATE: Caro Fedro dove vai e da dove vieni?
FEDRO: Vengo da Lisia, figlio di Cefalo, Socrate, e sto andando a fare una passeggiata fuori dalle mura, visto che là ho trascorso parecchio tempo, seduto fin dal primo mattino. Dando retta al nostro comune amico Acumeno, faccio delle passeggiate per le vie: dice infatti che sono più rinfrancanti di quelle sotto i portici.


da cui si capisce che il cittadino ateniese mediamente non faceva un tubo tutto il giorno: la democrazia diretta funzionava perché per ogni membro attivo c'erano almeno nove individui tra schiavi e meteci che lavoravano anche per lo sfaccendato.
Ma lo spunto su web e informazione viene più avanti, quando si racconta il Mito di Theuth. In esso si narra che l'ingegnosa divinità Theuth si presentò un giorno dal faraone Thamus per illustrargli le sue invenzioni. Quando arrivò alla scrittura, egli la presentò dicendo

Questa conoscenza, o re, renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza

Il faraone non fu d'accordo con Theuth, e infatti gli rispose

la scoperta della scrittura avrà per effetto di [procurare] ai tuoi discepoli l'apparenza e non la verità: infatti essi, divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre come accade per lo più, in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti.

Se al posto di "scrittura" si mette la parola "internet" allora il testo è più che attuale: accedere a un numero potenzialmente infinito di informazioni non rende le persone istruite, ma spesso solo convinte di esserlo. Quante volte è capitato di vedere gente pontificare su temi di cui non sanno niente solo perché hanno trovato un link che ne parla? E quante volte essi, anche se poi arriva qualcuno che certi argomenti li conosce per motivi di studio o di lavoro a sconfessarli, anziché cercare di capire meglio come stanno le cose si intestardiscono a difesa della loro idea?
Si potrebbe aprire una discussione lunghissima su quanto oggi l'importante, per chi insegna, è educare a un uso corretto delle fonti e a saper discernere tra quelle affidabili e quelle discutibili, o sull'uso che Platone fa della parola "farmaco", che in greco antico significava sia "medicina" sia "veleno", ma il post ormai è diventato troppo lungo ed è ora di concludere.
Per cui, per salutare degnamente quei quattro lettori che si avventurano su questo blog, scelgo questo brano degli Aphrodite's Child (anche loro greci, ma moderni). A presto.


Non c'è niente di più formale del Casual Friday

In seguito, il Sig. Lews inviò un'email con oggetto
"Linee guida tassative per il Casual Friday".
Nell'azienda per cui lavoro normalmente sono tenuto a presentarmi al lavoro in giacca e cravatta. Fa però eccezione il cosiddetto "Casual Friday", ("Venerdì informale", più o meno, in italiano), in cui ciascuno può liberarsi del nodo alla gola rappresentato dalla cravatta e vestirsi come più gli o le aggrada.
Non che questa usanza non mi piaccia (specie perché l'unico paio di scarpe eleganti che ho è in realtà alquanto scomodo), ma devo ammettere che fatico, ogni tanto, a capirla, trovandola per certi versi addirittura contraddittoria.
La voce su Wikipedia a riguardo afferma che 

In alcuni uffici si celebra con essa una sorta di tregua dalle costrizioni del codice di abbigliamento formale

Detta così mi sembra un concetto simile all'ora d'aria nel carcere, che non è proprio una bella immagine per un ambiente di lavoro, specie per quelle aziende che con tale usanza vogliono mostrarsi giovanili e dinamiche: tanto vale allora fare come in parecchie compagnie informatiche, che, in ossequio a una cultura del lavoro più rilassata d'ispirazione californiana, non impongono alcun codice d'abbigliamento ai propri dipendenti. E poi, capisco che chi deve avere a che fare col pubblico o coi clienti debba rispettare certe regole nel vestirsi, ma chi come me passa tutto il giorno a bestemmiare di fronte ad una finestra di SQL o simili su uno schermo di un computer non ha molte interazioni umane.
Voglio un manager con questa
maglietta
Infine, qualcuno potrebbe domandarsi: "Come mi vesto al casual Friday?" Perché in fondo, vi sembra possibile che in un'azienda che impone un codice d'abbigliamento durante la settimana qualcuno possa presentarsi con una maglietta tipo quella qui a fianco? Magari con delle meravigliose infradito (qui un mio post su cosa penso io dei sandali) e dei bermuda?
Anche un'usanza che vuole essere un inno all'essere informali e alla libertà da condizionamenti esterni alla fine ricasca in questi due limiti, oltre che in quello della routine (che cavolo, perché per forza il venerdì? Solo perché così si entra gradualmente in modalità weekend?).
Per tutte queste ragioni, pur apprezzando alla fine la cosa, non la capisco. D'altronde, non è necessario comprendere qualcosa appieno per farsela piacere: non diceva Oscar Wilde che 
Le donne sono fatte per essere amate, non per essere capite?

domenica 4 maggio 2014

Tra #gennyacarogna, #gastone e la #Camorra: il #calcio è crimine?

Genny 'a Carogna, così soprannominato dai suoi amici:
chissà perché...
Questa frase è spesso usata dal coblogger Zurota. Purtroppo, a guardare quello che è successo ieri a Roma per la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, difficilmente gli si può dare torto. Gli elementi a conferma della tesi sono vari e incontestabili, almeno in questo caso.
Cominciamo dal fatto scatenante: a quanto pare, un capo ultras della Roma, soprannominato Gastone, già più volte arrestato anche per minacce, avrebbe sparato a tre tifosi del Napoli, di cui uno, colpito alla spina dorsale, in condizioni molto gravi.
A prescindere dal fatto che sia veramente colpevole o no, mi sfugge come possa avere il porto d'armi un elemento con tali precedenti. Gastone, infatti, è lo stesso che nel 2004 fece fermare il derby di Roma perché si era diffusa la voce (poi dimostratasi falsa) che un mezzo della polizia avesse investito, uccidendolo, un bambino. 
A parziale smentita della tesi calcio = crimine si potrebbe rispondere che sì, è noto che la rivalità tra le tifoserie di Roma è Napoli è più che accesa, ma in questo caso la partita non riguardava queste due formazioni: si tratterebbe, qualora fosse confermata l'ipotesi attuale, semplicemente di un delinquente che usa il calcio per sfogare i suoi istinti violenti.
Qui però devo giungere al protagonista della foto in questo post, l'illustre "Genny 'a carogna". Costui, oltre a inneggiare con la sua maglietta a un condannato a 9 anni di carcere per l'omicidio di un poliziotto, può vantare illustri natali: è infatti figlio di un camorrista affiliato al clan dei Misso del Rione Sanità a Napoli. Ora, a parte questi precedenti (le colpe dei padri non cadano sui figli, però la maglietta è inequivocabile...), uno con un soprannome così non lo immagino a sorseggiare cognac mentre discute di ontologia... La camorra si è pesantemente infiltrata nel tifo organizzato a Napoli, come conferma questo tweet di Roberto Saviano:



Non mi si fraintenda, io non voglio generalizzare, voglio difendere proprio chi, come me, tifa una squadra in maniera genuina ed è contrario a ogni violenza: non si possono nascondere certe cose (il dominio della destra estrema e della criminalità nel tifo organizzato) solo per paura di offendere gli altri.
In tutto ciò, la partita si è giocata. Certo, non so se sia stata la decisione giusta (ad esempio, cosa sarebbe successo in caso di rinvio?), ma spero che essa non sia stata dettata solo dalle esigenze di chi detiene i diritti televisivi dell'evento. Ma soprattutto, tanto per tornare al dottor "Carogna", come si può pensare di chiedere a un personaggio del genere se sia il caso di giocare o no? Se si voleva capire l'aria tra i tifosi del Napoli, perché dare a tale individuo la rappresentanza di un'intera tifoseria? Negli anni '70, pur col rapimento di Moro, lo Stato decise di non trattare coi terroristi davvero ora ci vogliamo arrendere di fronte a certi personaggi?