domenica 30 giugno 2013

Di Birkenstock ed estetica

Generalmente il sottoscritto scrive su politica o massimi sistemi (vedere il mio post sull'entropia), ma oggi, dopo un mio commento su Facebook che ha suscitato un vivo dibattito, ho deciso di dire la mia su un argomento: la mania di indossare le Birkenstock in posti inopportuni.
Chiarisco subito un paio di cose. Questa mia avversione vale in generale per tutte le scarpe aperte, quindi anche per le infradito e ogni sandalo in generale. Però il mio ribrezzo non è assoluto: io posso capire che uno le indossi in casa, al mare in spiaggia o durante un pic-nic, posti dove le ciabatte (e non venitemi a dire che le Birkenstock sono scarpe, tecnicamente sono ciabatte) non stonano. Posso inoltre capire le infermiere che le indossano: devono stare tanto in piedi e camminare molto, e quindi capisco che non sempre l'estetica sia la priorità.
Sono assolutamente contrario però al loro utilizzo in tutti gli altri contesti: siano essi il lavoro (con le dovute eccezioni di cui sopra), un giro in centro o un ristorante, la loro visione mi fa letteralmente rabbrividire. Non capisco perché allora non venire direttamente con le pantofole o addirittura in pigiama coi pantaloncini (e conosco qualcuno che l'ha fatto, come mostra la foto sulla sinistra, vero Spessotto?), magari all'incontrario?
Le mie ragioni sono quindi innanzitutto estetiche: ogni ambiente ha i suoi codici d'abbigliamento, e le Birkenstock non vanno bene su tutto. Il mio disgusto poi riguarda tutte e due le possibili maniere di indossarle:
1) Col calzino, magari bianco e di spugna, Deutschland style (se non ci trovate niente di male, non andate neanche avanti con questo post, le mie righe sarebbero sprecate come le perle con i porci).
2) Col piede nudo, esposto tranquillamente agli agenti esterni.
Il secondo utilizzo mi permette di parlare di un altro motivo che mi fa odiare i sandali: l'igiene. Ora, come si fa a girare in città con i piedi esposti a tutte le schifezze che ci sono in giro? E non ditemi che non è vero: chi indossa certe calzature si ritrova la sera con i bordi dei piedi e le dita neri come la fuliggine, e a me fa schifo anche solo l'idea di girare con i piedi in quelle condizioni, figurarsi farmi vedere così... E poi d'estate, alcuni utenti hanno dei piedi che sono più puzzolenti di un formaggio francese, perché dovete ammorbare il mondo con i vostri afrori?
Ah, e poi c'è chi dice che sono comode: OK, allora non fatemi obiezione se la prossima volta che esco con voi a cena vengo in canottiera sporca di sugo e in mutande, io sto comodo così, come il mago Oronzo. E poi, a chi dice che i piedi d'estate si irritano, posso dire che innanzi tutto io con le scarpe chiuse e i calzini non ho di questi problemi, mentre li ho senza, ma poi mi ricordo quello che mi diceva la mia ex all'inizio di ogni estate: "Ho le piaghe ai piedi, devo ancora abituarmi ai sandali". Inutile la mia risposta "E allora non metterli", a cui si opponeva un "Ma sono comodi": logico, vero? Le piaghe sono universale sinonimo di comodità, si sa...
Un ultimo commento che c'entra poco con le Birkenstock, ma che mi è ispirato dalle risposte al mio commento su Facebook precedentemente menzionato: le donne hanno difeso le Birkenstock, gli uomini le hanno "condannate". Ora, ciò mi conferma una mia idea che mi venne quando cominciò la moda delle orrende scarpe col plateau: scarpe e borse sono parte di un linguaggio unicamente fra donne, e da cui noi maschietti siamo completamente esclusi e anzi, considerati intrusi. 
Cari uomini, le donne quando escono con noi non si mettono scarpe o non portano borse che possano piacerci: è una guerra tutta loro, e noi non possiamo farci niente. Forse per questo, allora, è anche inutile da parte mia lamentarsi delle Birkenstock, ma allora concedetemi una sola domanda: nel linguaggio femminile, piede sudato dentro Birkenstock che significa?

giovedì 27 giugno 2013

Decreto Lavoro 2013 e rinvio aumento IVA

Oggi è stato annunciato il Decreto Lavoro 2013. La parte alla quale è stata data maggiore risonanza riguarda le agevolazioni per l'assunzione di persone "di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che rientrino in una delle seguenti condizioni:
a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale;
c) vivano soli con una o più persone a carico." (Art.1, comma 2).
Poiché deve valere solo una delle tre condizioni, lo scopo sarebbe di favorire chi è disoccupato da più di sei mesi, chi si è fermato alla scuola secondaria di primo grado (la vecchia "licenza media") e chi ha un lavoro non regolare ma vive da solo o con più persone a carico (e quindi che non lavorano).
Più in avanti vengono riportate anche le cifre stanziate: 750 milioni per il periodo 2013-2016, di cui 500 per le regioni del Mezzogiorno e 250 per le restanti, con chiare indicazioni su come queste verranno elargite in questi tre anni (Art.1, comma 12): in particolare, 100 per il Mezzogiorno nel 2013 e 48 per le altre regioni. Lo scopo dichiarato è di arrivare a "duecentomila nuove assunzioni a tempo indeterminato", in particolare tra le persone appunto tra i 18 e i 29 anni residenti nel Mezzogiorno. 
A parte che qualcuno potrebbe obiettare sul perché queste categorie e non altre, ma per me lo scopo non si raggiunge così, e per un semplice motivo: un imprenditore non assume a tempo indeterminato solo perché non paga i contributi per i primi 18 mesi, ma se sa che nei tempi futuri avrà un numero di ordinativi per i quali saranno necessari più lavoratori di quanti ne abbia al momento. Di questi tempi è proprio questo il problema: la mancanza di commesse per le aziende, che sul breve periodo possono essere stimolate solo tramite intervento pubblico (per ora non in vista, data la cronica mancanza di soldi, su cui comunque si potrebbe discutere) o da una rinnovata fiducia per il futuro per il lungo termine. Tutto il resto sono solo palliativi.
Inoltre, sempre nello stesso decreto, si annuncia il rinvio dell'aumento dell'IVA per altri tre mesi, soldi che però arriveranno comunque dall'aumento degli acconti di IRPEF e IRES. Insomma, si dà con una mano e si prende con l'altra, e sempre ai danni delle attività produttive: in questo periodo di crisi di lavoro, invece di agevolare gli investimenti per produrre occupazione li si disincentiva, e non si va a toccare tutte quelle risorse lasciate improduttive (interessi bancari, dividendi azionari, investimenti finanziari in genere) o quelle non riutilizzate per la collettività (case non di residenza sfitte etc.).
Insomma, come ho scritto su Twitter, questo più che un decreto lavoro mi sembra una truffa, un giocare a rimandare per tirare a campare: ma in attesa di cosa? Siamo davvero convinti che il risultato delle elezioni federali tedesche di settembre (qui gli ultimi sondaggi) porterà alla possibilità di spendere e spandere? Non abbiamo comunque il margine per fare altro debito, non so se un suo aumento significativo per rilanciare l'economia sarà coperto da copiose sottoscrizioni: volete prenderci in giro? Per dirla con i Queen, "Non mi prendete in giro", e con questa canzone vi auguro una buona notte.



lunedì 24 giugno 2013

I ballottaggi in Sicilia

Quanto le cose sembrano cambiare in due settimane...
In un mio post precedente avevo parlato di risultato deludente per il M5S: oggi giustamente quest'ultimo esulta per la vittoria a Ragusa di Federico Piccitto (a lato), unico candidato M5S nei quattro comuni capoluogo al voto in Sicilia ad aver raggiunto due settimane fa il ballottaggio. Ma Ragusa non riserva l'unica sorpresa di questo turno elettorale: a Messina ha vinto un candidato della sinistra più "identitaria" (non mi piace né il termine "radicale" né quello "estrema"), dichiaratamente contro la costruzione del ponte sullo stretto (ma se è per quello sono anch'io contrario, e dubito che qualcuno possa definirmi un estremista di sinistra). Il PD, che era euforico dopo i ballottaggi di due settimane fa e la vittoria a Catania al primo turno, riesce oggi a conquistare solo Siracusa
Ha ragione il Fatto Quotidiano, quindi, a titolare "bocciate le larghe intese"? Dal basso della mia posizione dico subito di no: fosse così, non si sarebbero avuti i risultati di due settimane fa. Il M5S può essere contento del risultato in Sicilia, ma conferma che, se le scelte sono tra ben più di due poli, riesce a sfondare poco (un comune capoluogo conquistato su venti al voto è un dato decisamente inferiore rispetto alla portata elettorale del M5S). Personalmente trovo che la chiave dei risultati a sorpresa del secondo turno a Messina e Ragusa sia molto semplice: il M5S o qualunque altro candidato al di fuori del classico schema destra-sinistra hanno molta difficoltà a raggiungere il ballottaggio in un'elezione comunale, ma quando ce le fanno, come è successo a Parma nel 2012, prendono i voti di tutti coloro che avevano scelto gli altri candidati che non erano giunti al ballottaggio, a conferma, come da me detto più volte, di quello che è l'enorme problema, soprattutto per il PD, oggi: pur essendo gli elettori in rotta dalla destra, costoro non vengono attratti da una proposta di centro-sinistra e, se forzati a scegliere tra questa e una qualunque altra, scelgono quest'ultima. A Ragusa gli elettori di destra hanno votato in massa al ballottaggio il candidato del M5S, a Messina l'esponente del movimento "No ponte".
Integro quindi quanto detto due settimane fa (il centro-sinistra ha vinto solo perché ha uno zoccolo duro più rilevante, e quindi in caso di forte astensione vince sempre) con la considerazione che l'elettore, se non deve forzatamente scegliere tra PD e PDL, oggi prende volentieri altre strade, ma non ancora abbastanza da rendere queste ultime vincenti, e infatti le politiche hanno dato un risultato da paralisi politica. Per questo il centro-sinistra, che due settimane fa esultava, lo faceva in maniera esagerata: chi fa una proposta politica che non riesce a raccogliere i consensi che non era riuscita ad ottenere in precedenza ma si limita a perdere di meno rispetto alla destra ha ben poco di cui essere contento. 
Il fatto è che, diversamente dal passato, gli basterebbe relativamente poco per tornare a mobilitare un sacco di delusi (tra cui il sottoscritto) ed elettori nuovi: candidati nuovi con una proposta nuova (non quindi il Renzi che scimmiotta Blair), in discontinuità con un passato non sempre, purtroppo impeccabile ed onorevole. Ci sono riusciti dei volontari penta-stellati inesperti con una proposta politica e dei modi non sempre impeccabili, perché non può farcela un partito con una struttura che vanta una storia lunga e militanti che ne hanno viste tante?

venerdì 14 giugno 2013

Il secondo principio della termodinamica - Quando fisica ed economia si incontrano

È uno dei più importanti fondamenti della fisica classica, ma il suo impatto sulla cultura va ben oltre l'ambito scientifico: sto parlando del secondo principio della termodinamica (questo link in inglese è più completo), quello che a livello popolare è noto nella formulazione secondo cui il disordine di un sistema può solo aumentare. Ed effettivamente è questa anche la formulazione più accettata attualmente: se l'entropia viene presa come misura del disordine di un sistema, allora si ha che essa è una funzione monotona non strettamente crescente, ossia può restare stabile o aumentare, ma non diminuire. Mi perdoneranno i miei colleghi laureati in fisica per questa eccessiva semplificazione, ma credo che questa mia riformulazione non perda il senso fondamentale del secondo principio.
Ho detto che questa è la formulazione più accettata attualmente: storicamente ne sono state fatte altre, tra cui le più famose sono quella di Clausius, Kelvin-Planck e Carathéodory: quest'ultima addirittura è stata composta su basi puramente matematiche, ossia non basate su alcuna fenomenologia fisica. Ovviamente si può dimostrare che tutte queste formulazioni sono equivalenti a quella data in precedenza. E potrei citare un sacco di implicazioni (reversibilità dei processi e freccia del tempo) e paradossi (per esempio, quelli del "Diavoletto di Maxwell" e di Gibbs), ma non è di fisica che voglio qui parlare: se il secondo principio fosse esclusivamente legato alla termodinamica, non vi avrei dedicato un post su questo blog.
La sua importanza in fisica è fondamentale (basta pensare al numero di versioni in cui esso è formulato) ma lo è in tutte le scienze, a partire dalla chimica, ma anche in altri campi, come l'economia e la filosofia, in particolare nella formulazione di Kelvin-Planck: "è impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea". Detto in altri termini, questo implica che in ogni trasformazione di energia (ad esempio, nell'uso di combustibili fossili, ma anche di fonti rinnovabili) solo una parte viene convertita in lavoro utile, mentre il resto è disperso e non più riutilizzabile: due esempi che noi vediamo tutti i giorni sono le lampadine ad incandescenza e i motori a scoppio, che entrambi nel loro funzionamento dissipano un enorme quantità di calore.
Poiché la nostra civiltà si basa sulle trasformazioni di energia, e in un certo senso la capacità di progredire e crescere dipende dalla possibilità di renderle sempre più efficienti (idealmente, senza dissipazioni), tale principio pone seri limiti al concetto di crescita, fondamentale in economia. Per dirla con una canzone dei Muse (che al secondo principio hanno dedicato un album), 


"Ogni processo tecnologico e naturale procede in maniera tale che l'energia disponibile rimanente decresce. [...] Non è possibile creare nuova energia [...] Un economia basata su una crescita infinita non è sostenibile".
Ora, a parte lo stile dubstep (da quattordicenni truzzi) della canzone (che comunque non è ottenuta tramite PC ma solo con i classici strumenti di distorsione), mi colpisce che un gruppo pop scelga di dedicare un intero album al secondo principio della termodinamica.
Ma tornando all'economia, vi è un'intera corrente di pensiero al suo interno, detta Economia Ecologica (qui il link inglese, più completo) che, muovendo proprio da questi concetti e modellizzando i sistemi economici come un sistema termodinamico, evidenzia il fatto che l'attuale teoria economica, basata sul concetto di crescita infinita, è in contraddizione con quanto ci insegna il secondo principio della termodinamica, che invece si focalizza sulla finitezza e sulla non completa ripetibilità in perpetuo delle trasformazioni energetiche, e quindi dei processi economici. Questa è la base concettuale della teoria della decrescita, e di tutti i lavori di Latouche, e vi sono entrato in contatto la prima volta quando Zurota mi fece vedere il libro The entropy law and the economic process, di Nicholas Georgescu-Roegen, un  lavoro pioniere per tutto questo filone di pensiero.
L'attuale economia, invece, ha nella crescita economica il suo fondamento principale: il debito è sostenibile solo perché si può ipotizzare che in futuro la ricchezza sarà sempre maggiore, e quindi sarà sempre possibile coprire le esposizioni economico-finanziarie. La matematica finanziaria, ad esempio, per la previsione del comportamento degli andamenti di borsa, si basa sul metodo di Bachelier, che modellizza i mercati finanziari e l'andamento dei prezzi secondo il modello del moto browniano, fondamentale anch'esso in fisica e che ha un corrispettivo nel moto di un granello di polvere in aria. La cosa buffa è un altro esempio di moto browniano è quello descritto da uno sbronzo sulla via di casa: insomma, l'andamento dei mercati finanziari e un ubriaco hanno forti analogie... Di questo confronto e delle castronerie che ho scritto spero che i miei amici economisti e statistici possano avere venia.
Ma perché ho citato questo esempio? Il secondo principio della termodinamica vale per sistemi macroscopici, ma non per quelli microscopici, e il moto browniano è proprio un esempio di tale sistema. Allo stesso modo, l'andamento dei mercati finanziari non tiene in alcun conto dei limiti dati dalla finitezza delle risorse: sembrano in assoluta opposizione. La cosa curiosa è che anche in fisica esiste tale apparente contraddizione, detto paradosso di Loschmidt. La logica è che ogni sistema macroscopico sia composto da più sistemi microscopici in relazione tra loro, e quindi spiegando il comportamento di un elevato numero di questi e le loro interazioni dovrebbe essere possibile interpretare i sistemi su grande scala: poiché in fisica i sistemi microscopici non osservano il secondo principio, non si capisce come quelli macroscopici dovrebbero, se si prova a derivare tale comportamento a partire dalle piccole scale. In fisica tale paradosso è risolto se si inserisce un ulteriore condizione: esiste uno stato passato in cui l'entropia era minima, e questo è identificato col Big Bang, da cui ha tratto origine il nostro universo.
La contraddizione quindi tra economia ecologica e classica potrebbe essere risolta se vista nell'ottica della differenza tra sistemi macroscopici e microscopici, e quindi definendo uno stato iniziale in cui le risorse disponibili erano massime (come analogo dell'entropia al minimo)? Non so neanche se sto dicendo qualcosa di sensato, se davvero fossi sicuro di ciò non scriverei su un blog ma su prestigiose riviste internazionali, però in fondo le domande a volte sono affascinanti tanto quanto le risposte, e questo secondo me è uno di tali casi.
Fisici, economisti, statistici... Insomma, ho chiesto scusa a tanti con questo post, in cui volevo semplicemente mostrare come anche cose apparentemente lontane come una teoria nata per spiegare il comportamento delle macchine a vapore e l'economia e le crisi possano avere legami, e come anche la teoria più astratta (non riesco ad immaginarmi niente di più astratto dell'entropia) possa avere ricadute pratiche nei modi più impensabili: l'importante non sono i concetti base, ma come si riesce a collegarli tra loro. E visto che ho chiesto perdono a tanti, aggiungo a questa schiera tutti i lettori che avrò annoiato con queste mie righe. Alla prossima.

mercoledì 12 giugno 2013

A volte ritornano: le analisi post-voto di Steve

Cari amici del blog

da queste pagine non c'è stato alcun segno di vita da metà aprile circa.
Gli impegni del sottoscritto, la maternità di una delle nostre autrici (a proposito, ancora congratulazioni, Santa Maria) e le molte attività degli altri autori hanno ridotto al silenzio questa voce online libera (perché scritta da ubriachi che quindi perdono ogni limite inibitorio...). Come la mala erba, però, i miei sproloqui sono dure a morire, e quindi rompo il silenzio di questo periodo con un'ennesima analisi elettorale.
Domenica 9 e lunedì 10 giugno scorsi vi sono stati i ballottaggi per i comuni al di sopra dei 15000 abitanti, tra cui 11 capoluogo di provincia, e il primo turno per le amministrative in Sicilia in vari comuni, tra cui 4 capoluogo di provincia.
Due sono i numeri eclatanti. Negli 11 comuni capoluogo al ballottaggio ha sempre vinto un candidato del centro-sinistra, che sommati ai 5 che avevano già eletto il loro sindaco due settimane prima danno un impressionante 16 a 0 nei confronti del centrodestra. L'altro dato con cui riassumere i risultati riguarda l'astensione: praticamente un italiano su due non ha votato nel secondo turno, decretando, come dirò più in dettaglio fra poco, una sconfitta per tutti i partiti candidati.
Come da mia abitudine, vi dò di seguito un commento dei risultati dei 4 attori principali: il M5S, il PDL, il PD e l'astensione. Comincerò da quest'ultima

L'astensione
L'unica vera vincitrice di tutte le elezioni amministrative che sono venute dopo le legislative dello scorso febbraio è l'astensione. Se da un lato i partiti tradizionali non sembrano in grado di recuperare elettori e sono in caduta libera (come numero assoluto di preferenze) rispetto alle precedenti elezioni, neanche il M5S sembra riuscire a raccogliere, almeno per queste votazioni locali, la delusione che impera tra l'elettorato. 
Lo slogan qui a fianco (Lasciate ogni speranza o voi che votate) ricalca un atteggiamento pericoloso sempre più diffuso tra i votanti, convinti come Mark Twain che "Se votare facesse la differenza non ce lo lascerebbero fare". So che sembrerò retorico, ma il voto è stata una conquista importantissima e decisamente giovane: si pensi che il suffragio universale maschile in Italia esiste da meno di 100 anni, e fu ampliato alle donne solo a partire dal referendum sulla Repubblica del 2 giugno 1946. Questo disincanto per la democrazia partecipata (non partecipativa, mi raccomando) è però pericoloso perché, qualora arrivasse davvero un capopopolo capace di conquistare le folle come fece Mussolini nel primo dopoguerra, il rischio dittatura sarebbe fortissimo: non mi ricordo chi lo disse, ma il concetto "La democrazia viene abbandonata per venire surclassata dalla dittatura quando non è più efficace nell'affrontare i problemi delle persone" ha un fondo di verità.

Il M5S
La foto qui a fianco rappresenta l'unica nota di consolazione per il M5S da queste elezioni amministrative: Ragusa è l'unico comune capoluogo, tra quelli in cui si è votato due settimane fa e quelli siciliani dello scorso fine settimana, in cui un candidato del M5S (Federico Piccitto) sia riuscito ad andare al ballottaggio. Per il resto, il movimento fondato da Grillo e Casaleggio non ha avuto successo in nessun comune demograficamente significativo, ed è riuscito a conquistare i due soli comuni di Pomezia e Assemini, cosa però che ha generato soddisfazione, come dichiarato da Beppe Grillo sul suo blog. Con tutta l'amicizia che posso avere per i cittadini di questi due paesi, non mi pare un risultato rilevante.
Ma la vera sconfitta del M5S secondo me non è data tanto dai risultati nei comuni in cui si è votato due settimane fa, ma da quelli relativi alle elezioni in Sicilia. Nei quattro comuni principali in cui si è votato il M5S, Ragusa a parte (dove ha ottenuto il 15%), non è andato oltre il 5% (Catania, Siracusa e Messina). Se è vero che questo dato non si può confrontare con il 33% ottenuto in Sicilia alla Camera (politiche e amministrative sono elezioni completamente diverse), lo stesso non si può dire per il paragone con i risultati delle regionali siciliane del 2012: quella volta il M5S fu il primo partito della regione con il 15% dei voti. Insomma, un vero e proprio tracollo.
Ma ciò che secondo me dovrebbe preoccupare i militanti del M5S non è tanto il dato elettorale, ma la reazione degli eletti: se due settimane fa Beppe Grillo ne attribuiva la responsabilità agli elettori, definendoli collusi col potere per non perdere i propri privilegi, oggi polemicamente, in risposta ad una parlamentare che ce l'aveva con lui e che è stata cacciata dal movimento, dice "Vorrei sapere cosa pensa il MoVimento 5 Stelle di queste affermazioni, se sono io il problema". 
Non ascoltate chi parla di "Massimalismo", o di "Italiani stufi della sola protesta". Andrea Scanzi, giornalista non certo ostile al M5S, ricorda questi concetti nel suo blog, eppure egli espresse in una trasmissione televisiva un concetto per me più azzeccato. Il M5S è ad un bivio per lui tremendo: o si organizza con una vera struttura e una classe dirigente sul territorio per radicarsi, e allora si snatura, o non lo fa, e allora è destinato a dipendere sempre di più da Beppe Grillo a livello nazionale e a non riuscire a farsi conoscere a livello locale, e quindi a non riscuotere consensi. Il punto è proprio questo: il radicamento sul territorio richiede proprio una macchina organizzativa che non può ridursi al solo volontariato, che purtroppo costa parecchi soldi, e che è tipica di un partito vero e proprio. Per ora il M5S ha successo a livello nazionale perché lì è Grillo a fare il trascinatore, ma a livello locale contano molto di più il contesto specifico, i singoli candidati (per cui, a differenza che nelle politiche, si può esprimere il voto di preferenza direttamente) e i problemi locali, e quindi presentare persone provenienti dal circuito per ora ristretto dei "Meet up" e delle votazioni online non porta a niente. 
Per portarla all'eccesso, il M5S deve scegliere: morire diventando un partito (e quindi con la possibilità di diventare qualcos'altro), o morire diventando un bluff?

Il PDL
Ho scelto la foto di Alemanno che piange dopo la sconfitta per vari motivi: un po' perché le elezioni romane erano le più importanti (due milioni di elettori chiamati al voto), un po' perché rappresenta l'essenza del risultato del PDL di queste elezioni.
Paradossalmente, come per il M5S, il PDL è troppo dipendente dal suo capo e fondatore Silvio Berlusconi, con l'aggravante che se il M5S è nato da poco, il PDL e i suoi predecessori hanno 20 anni.
L'odierna destra italiana è Silvio Berlusconi, punto. È significativo che una buona parte di una destra che non si riducesse ai destini del suo capo, quella emersa proprio a Roma con le elezioni comunali del '93 e il ballottaggio tra Fini e Rutelli, giunga proprio ora alla sua fine. Sto parlando di una destra romana forte, pur in una città che mai è stata veramente di destra, ma che nonostante ciò ha avuto grande influenza sulla politica italiana e ha rappresentato l'alter-ego di Berlusconi: mediatico quest'ultimo, legata a un forte attivismo politico "vecchio genere" e radicata sul territorio la prima. 
Sfasciatasi questa con il naufragio di Fini alle ultime politiche, il fiasco di "Fratelli d'Italia" e l'insuccesso di Alemanno alle comunali, non si vede nella galassia del centrodestra nessuno che possa costituire un'alternativa al dominus Berlusconi. Alla destra di oggi manca ogni ricambio generazionale: l'unica flebile possibilità, usata quasi come un feticcio nelle trasmissioni televisive, è il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, animatore dei "formattatori", una specie di versione di destra dei rottamatori renziani. Un po' poco, se mi è permesso. Insomma, la destra oggi sembra sempre più ridotta alla sola tutela del destino di Silvio Berlusconi, e ciò anche per uno come me che si considera di sinistra è preoccupante.

Il PD
Apparentemente il PD e il centrosinistra sembra no tenere, anzi strabordare, avendo vinto in tutti i comuni capoluogo. Un dato però, riguardante il ballottaggio di Roma, dovrebbe far preoccupare questo schieramento: Marino ha vinto con meno voti di quelli con cui Rutelli perse cinque anni prima (confrontare i risultati attuali con quelli di cinque anni fa). Il centrosinistra non è risalito rispetto alle ultime politiche, in termini di voti assoluti, ed ha perso rispetto alle precedenti amministrative. E allora perché alla fine vince così tanto? La risposta è relativamente semplice: a differenza del M5S, il PD ha una struttura capillare a livello locale che nasce dalla storia dei suoi predecessori, e questo porta ad avere uno zoccolo duro (elettori irriducibili che lo votano sempre e comunque) di molto più vasto rispetto a quello degli altri partiti, che non possono contare su un tale pacchetto di partenza. Insomma, alle ultime elezioni hanno votato in gran parte gli irriducibili, e questi stanno soprattutto nel PD. Ma con i soli inossidabili non si va lontano: un partito che abbia a cuore il proprio futuro dovrebbe porsi il problema di riuscire a vincere le elezioni conquistando coloro che non lo hanno mai votato. Renzi non suscita le mie simpatie, ma è l'unico che abbia espresso chiaramente questo concetto: se nel 2008 il PD ha perso e il PDL ha trionfato, per vincere nel 2013 il PD avrebbe dovuto prendere voti di gente che nel 2008 ha votato il PDL (lasciamo stare poi che lui risponde a questo problema con una proposta snaturata da ogni ideale minimamente riconducibile a qualcosa di sinistra...). Invece, il PD non riesce ad allargarsi, si limita semplicemente a contrarsi in misura minore rispetto al suo teorico contraltare, il PDL: un atteggiamento puramente difensiva che non può portare a nessuna vera vittoria, e che conduce allo stallo delle politiche, dove non votano solo gli irriducibili.
Il punto è che chi ha vinto alle comunali lo ha fatto nonostante il suo partito e la dirigenza nazionale: come Debora Serracchiani alle ultime regionali in Friuli Venezia Giulia, questa è tutta gente che ha vinto perché esiste un partito con dei candidati a livello locale, diversi dalla dirigenza nazionale. Lo slogan di Marino "Roma, non politica" (cito a memoria, probabilmente in maniera erronea) è indicativo di una necessità di marcare una certa distanza dalla politica nazionale e di evidenziare la dimensione locale addirittura eccessiva, ma comprensibile in un momento in cui la nomenclatura del partito ha perso ogni credibilità e questo appare per ogni candidato più un peso che una risorsa. Il guaio è che il successo del PD in termini di città conquistate potrebbe far dimenticare questo enorme problema.

Per concludere
Può qualcuno cantar vittoria? Secondo me no, soprattutto chi sembra aver vinto e potrebbe per questo dimenticare i tanti problemi irrisolti ancora rimasti. Insomma: che desolazione...