lunedì 29 luglio 2013

Cortometraggi animati nipponici

L'estate è da sempre la stagione televisiva dell'amarcord: repliche di vecchie serie televisive, film o programmi del passato di successo sono all'ordine del giorno. Il digitale terrestre, con il suo proliferare di canali (spesso inutili), ha recentemente ingigantito tale fenomeno, riempiendo l'etere di ogni genere di antichità televisive.
Qualche sera fa ho notato che uno dei canali Mediaset sta riproponendo tutte le puntate di Holly e Benji, cartone giapponese del 1983 e quindi mio coetaneo.
Quando Mediaset non era un ramo distinto di Fininvest collocato in borsa e Berlusconi voleva conquistare le menti degli italiani, i cartoni giapponesi catturavano l'attenzione dei bambini così come gli uomini adulti erano conquistati dai primi programmi con le donne scollacciate (Colpo Grosso e Drive In, anche quest'ultimo nato nel 1983) e le donne dalle telenovelas (nel 1994 Beautiful passa da Rai 2 a Rete 4).
Voglio tranquillizzare le lettrici e i lettori: in questo post non vi annoierò con analisi socio-politiche da quattro soldi su come l'impero televisivo di Berlusconi, oggi e nel passato, sia la colonna portante dell'egemonia culturale berlusconiana: oggi mi dedicherò all'amarcord.
Si può capire come l'onda lunga dei cartoni giapponesi sia stata travolgente se si pensa a quante generazioni di bambini, giocando a calcio al campetto, abbiano urlato, al momento di concludere in porta, frasi sconclusionate tipo "Tiro della Tigre" o "Tiro del Falco": così erano chiamati i colpi segreti degli attaccanti di Holly e Benji che, quando volevano essere sicuri di fare gol, ricorrevano a queste armi. Palloni che sfondano la rete e fanno buchi nelle pareti sfidando ogni legge della fisica, acrobazie che neanche gli stuntmen più spericolati (sotto un esempio della mitica "Catapulta infernale") sono baracconate che ogni maschio tra i 18 e i 35 anni conosce a memoria.


La cosa però non riguarda solo gli uomini: anche le donne venivano plagiate dai cartoni dedicati alla pallavolo, in ordine cronologico Mimì e la nazionale di pallavolo e Mila e Shiro due cuori nella pallavolo. Palloni che diventavano ovali per la velocità fino, a volte, ad infiammarsi, salti come neanche una pulce e allenamenti crudeli (a delle compagne a cui sanguinavano le mani e che si lamentavano per il dolore Mimì rispose "Deve fare male", per non parlare poi di Mr. Diamond che picchiava le giocatrici con un bastone di bambù) hanno spinto molte ragazzine ad appassionarsi alla pallavolo, e chissà, magari i trionfi internazionali delle nostre pallavoliste hanno origine da questi cartoni.
Potrete ben capire quindi la tenerezza che ho provato nel rivedere il cappellino di Benji con scritto W. Genzo (il suo vero nome giapponese) sullo schermo del mio televisore.
Le conclusioni di questo post? Chi è cattivo potrà pensare "Ma guarda questo, conosce anche le puntate dei cartoni per bambine", chi invece è più sensibile si unirà al mio coro: "Due sportivi, due ragazzi, per il calcio sono pazzi...". 


P.S.: in onore alla mia dolce compagna, vi propongo la prima puntata del doppiaggio in triestino di Holli e Benji: una cosa un po' locale, ma non potevo non pubblicarla, vista poi la presenza di Zurota in questo blog ;)


sabato 27 luglio 2013

Primarie PD: aprire o chiudere?

Il segretario ad interim del PD Guglielmo Epifani.
La notizia è di oggi: la direzione del PD doveva riunirsi per decidere sul prossimo congresso che eleggerà il nuovo segretario. Se la data è stata quasi fissata (probabilmente il 24 novembre) su una cosa il partito si è diviso: a chi concedere il diritto di votare alle primarie che nomineranno il successore di Bersani?
Le posizioni in campo sono due: primarie aperte a tutti o riservate ai soli iscritti.
Entrambe le posizioni sembrerebbero avere delle valide argomentazioni. Comincerò da chi vuole l'apertura totale ("apri tutto"), chiamandoli "I Ducciani" (vedere il video sottostante), per poi proseguire


con chi vuole invece che le primarie siano solo per gli iscritti, etichettandoli come "Maginotiani", perché vogliono erigere un argine contro possibili invasioni di elementi indesiderati, come appunto doveva fare la "Linea Maginot".
Ducciani
La loro posizione è: alle due precedenti primarie per il segretario, quelle che hanno designato prima Veltroni e poi Bersani, hanno potuto votare tutti, non solo gli iscritti al partito, e spesso le iscrizioni sono gonfiate da degli autentici "Signori delle tessere" che le pagano anche per altre persone per garantirsi un pacchetto sufficiente di voti. Inoltre, poiché da statuto PD il segretario è automaticamente il candidato del partito alla presidenza del consiglio (alle ultime primarie per Renzi fu approvata una delega a tale clausola proprio per consentirgli di candidarsi), è giusto che anche i non iscritti possano dire qualcosa, anche per dare l'immagine di un partito aperto alla società civile. Uniti su questa linea sono finora tutti gli aspiranti candidati che si sono già dichiarati (Gianni Cuperlo e Pippo Civati) e Matteo Renzi e i suoi seguaci.
Maginotiani
Nessun partito consente ai non iscritti di scegliere il segretario: a differenza delle primarie per il premier, per le quali è importante la partecipazione di tutti, in questo caso si sceglie una figura che dovrà principalmente occuparsi del partito, ed è quindi importante che il vincitore sia una figura apprezzata da chi ne costituisce l'ossatura. In caso di primarie aperte, invece, ci si ritroverebbe con la possibilità di avere persone neanche lontanamente simpatizzanti il PD che però, manovrate magari da politici di un altro schieramento, vogliono modificare il risultato facendo vincere un candidato che sia più gradito agli avversari piuttosto che agli elettori di centro-sinistra.

Cosa ha deciso il PD? Di rinviare la decisione alla prossima settimana, in una data (sarà una coincidenza?) successiva alla sentenza definitiva della Cassazione su Berlusconi, che dovrebbe essere il 30 luglio o poco più in là.
In linea di principio e in un mondo ideale devo ammettere che sarei un maginotiano: il segretario non deve essere per forza il candidato premier e per il suo ruolo deve essere una figura che deve riferire soprattutto al partito, ma... Ma non siamo in un mondo ideale, e questa modifica del regolamento servirebbe solo a favorire una classe dirigente datata che non vuole saperne di passare la mano, e spera che il suo lunghissimo insediamento nel partito possa essere sufficiente garanzia di posizione di dominanza tra gli iscritti. I signori delle tessere, inoltre, sono una realtà che ho potuto vedere con i miei occhi.
Inoltre il rinvio di oggi fa capire ancora di più che le posizioni sono esclusivamente strategiche: ciascuno spera solo di ottenere il massimo vantaggio per la propria "corrente", e poiché un'eventuale condanna per Berlusconi potrebbe causare il crollo di questo governo e il ritorno alle urne è meglio aspettare per vedere come meglio posizionarsi. Il guaio è che di tattica si può morire...

I figli so' piezz' e' core... Ma non per tutti

Il (purtroppo) Sen. Divina con il suo ecumenico camper.
"Ho due figli, un maschio e una femmina [...] Se fossero gay mi dispiacerebbe molto [...] Un figlio te lo tieni in quel modo, anche se fosse un delinquente [...] Ogni famiglia ha le sue disgrazie".
Queste parole sono dell'immeritatamente Senatore Sergio Divina della Lega Nord, i cui esponenti ci hanno ultimamente abituato ad affermazioni dallo stile impeccabile, Calderoli in primis. Questo messaggio d'amore cristiano in cui si mette sullo stesso piano un omosessuale con degli assassini non ha bisogno di tanti commenti: la sua mancanza di logica e senso è palese.
Non contento, poi il Divina ha anche aggiunto la frase "L'omosessualità è una devianza". Ora, oltre che alla manifesta mancanza d'intelligenza già mostrata in precedenza, questa frase certifica l'ignoranza del senatore in questione: l'omosessualità è stata rimossa dal DSM, il manuale dell'Associazione Psichiatrica Americana sulle malattie mentali, nel 1974, nella settima ristampa della sua seconda edizione. Insomma, tali posizioni sono non più accettabili da quarant'anni, forse qualcuno al senatore dovrebbe dirlo.
La cosa triste è che la parola senatore viene dal latino senex, is, che significa "anziano". Il Senato nell'antica Roma era infatti originariamente composto dai membri più anziani della società, e anche quello italiano moderno è riservato solo a chi ha superato i quarant'anni d'età, perché si presuppone che il passare degli anni porti saggezza e buon senso (mio zio dice "Tengo i capelli bianchi", a significare la sua conoscenza del mondo maggiore della mia). 
Il Sen. Divina invece conferma che purtroppo il tempo non porta sempre consiglio: il vino cattivo, invecchiando, può diventare solo aceto.

giovedì 18 luglio 2013

Ci sono conservatori e conservatori...

Ieri sera stavo rivedendo un po' dei vari Tweet che giungono sulla mia bacheca perché scritti o citati da gente che seguo (per meglio dire, di cui sono follower).
Citato da Fabrizio Barca, fino a qualche mese fa papabile candidato alla segreteria PD e ora in giro per i circoli del partito a spiegare la sua idea di Italia, anche se non sempre con parole semplici (chi utilizza oggi la mirabile espressione catoblepismo?), ho trovato il seguente Tweet di David Cameron, premier britannico e capo del partito conservatore:
che tradotta significa "Dopo un lungo iter parlamentare il matrimonio gay è diventato legge stasera - un atto di cui credo si possa essere fieri in quanto paese".
Quando mai sentiremo pronunciare queste parole da un presidente del consiglio, o da un leader del centrosinistra, in Italia? Cameron di sicuro non è il mio politico preferito, anzi... Non posso dimenticare la sua politica d'ostacolo al processo di unificazione europea (tipica in realtà dell'atteggiamento britannico), i suoi atti tesi a difendere la City di un paese ormai completamente deindustrializzato dal Thatcherismo e completamente dipendente dalla finanza, anche non trasparente (Londra è ormai una delle principali piazze del riciclaggio dei proventi del narcotraffico), il suo aumento delle rette universitarie del 200% per coprire i tagli del governo durante i maxi-salvataggi delle banche: insomma, non è certo il mio leader preferito, tenendo conto per di più che ha appena avviato un
progetto per convertire la centrale elettrica di Battersea, rappresentata qui a sinistra sulla copertina del leggendario album Animals dei Pink Floyd, per farci un centro commerciale e una zona residenziale di lusso.
Eppure, nonostante ciò, persino un esponente politico di tale caratura riesce a capire che non è più accettabile la mancanza del diritto a sposarsi civilmente per le coppie omosessuali e che lo stato non garantisca e riconosca tale unione.
E i nostri politici? Questo obiettivo di civiltà sembra ben lontano per il nostro paese, avendo una classe politica schiava di un malinteso concetto di morale cattolica che scambia la religione con un atteggiamento da baciapile. 
Insomma, un atteggiamento da caproni, ovini come quelli della canzone "Sheep" (Pecore) dell'album dei Pink Floyd sopra citato, con la quale vi saluto: buon proseguimento.


sabato 13 luglio 2013

Non pensare all'elefante.

Il titolo del post richiama un libro scritto da George Lakoff nel 2006: in breve, la tesi principale di questo testo era che se il Partito Democratico (quello americano) voleva tornare a vincere (in quegli anni George W. Bush era al suo secondo mandato presidenziale) doveva smettere di essere ossessionato dal suo avversario politico (il Partito Repubblicano, il cui simbolo è appunto un elefante), ma ricostruire una sua proposta politica con la quale convincere gli elettori a prescindere dai difetti dell'avversario. Per continuare con le metafore zoologiche, in Italia il Partito Democratico (quello italiano) dovrebbe smettere di pensare continuamente al Giaguaro (o al Caimano, per fare citazioni più dotte) ed elaborare una sua proposta politica chiara, precisa e vincente.
Questi giorni sono un'ennesima prova che siamo lontani da un tale traguardo. Il 10 luglio il PD vota la richiesta del PDL di sospensione delle sedute pomeridiane, per concedergli di riunirsi e discutere della decisione della Corte di Cassazione di iniziare il terzo grado del processo Mediaset il 30 luglio, in modo da evitare, la possibile parziale prescrizione prefigurata dal Corriere della Sera, che allontanerebbe una sentenza definitiva. Evidentemente i destini giudiziari di Berlusconi erano più importanti della discussione sull'istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (questo era previsto al Senato ed è stato fatto il giorno dopo) o della conversione del Decreto Legge 63 di quest'anno sull'Ilva, con il quale si è cancellato il fermo delle attività dell'acciaieria imposto dai magistrati (alla Camera, anch'esso rinviato al giorno dopo). Chi se ne frega delle riforme (sempre evocate, come un mantra, almeno da quando ho cominciato a seguire un telegiornale) o dell'Ilva di Taranto: Silvio rischia di essere buttato fuori dal Parlamento, questo sì che interessa i cittadini!
Di oggi poi è la notizia di Libero di una possibile grazia di Napolitano a Berlusconi in caso di sua condanna (cosa seccamente smentita dal Quirinale), nonché di una proposta di modifica della legge del 1957 che vieta a chi è titolare di concessioni pubbliche di essere eletto: da "ineleggibile", Berlusconi diventerebbe così "incompatibile", e avrebbe un anno per scegliere se dimettersi da Senatore o vendere le sue reti (magari ai figli). Il tutto nel giorno in cui si rumoreggia su una possibile apertura del M5S a un governo con il PD e del conseguente lavoro dei pontieri di quest'ultimo (cosa a cui non credo, sono solo tatticismi per quietare i falchi PDL).
Insomma, siamo sempre a parlare di Berlusconi, non di politica, pensando che queste due cose siano indissolubili. C'è da dire che questo post mi è stato indirettamente ispirato da Veltroni, che in un'intervista televisiva ha proprio citato il libro di Lakoff. Io non sono mai stato veltroniano, alle primarie del 2007 per il segretario votai addirittura Rosy Bindi, e gli imputo buona parte della dissoluzione dell'impianto ideologico attuale della sinistra, perché ha voluto parlare di apertura e contaminazione della politica del PD prima di costruirne una, come invece tentò, seppur con mille incertezze, Bersani (ne dovrò parlare in un post, questa sintesi è troppo corta); però questo suo richiamo è assolutamente corretto, anche perché non è originalmente suo. 
Dettare l'agenda politica è uno degli accorgimenti politici più vecchi del mondo: basti pensare che Gramsci per primo inventò il concetto di "egemonia culturale" per spiegare il mancato successo, previsto invece da Marx, della rivoluzione socialista nei paesi industrializzati e in particolare in Germania (Marx pensava a quest'ultima, mica all'URSS post-feudale...). Non a caso Gramsci viene studiato nelle Università Americane (qui un esempio) mentre noi lo ignoriamo, e anziché cogliere la sua lezione, come invita a fare anche Lakoff, ci perdiamo a parlare ancora una volta di Berlusconi: ma d'altronde, che si aspettava il PD quando ha scelto le larghe intese? Di non essere condizionato dai processi?
Bisognerebbe avere l'atteggiamento di Benigni, che intervistato da Biagi nel 2001 (non si trova il video online, rimosso per motivi di copyright dalla RAI che però non ha ancora provveduto a mettere sul sito le puntate de "Il fatto"), disse le seguenti parole "Non voglio parlare di politica. Sono qui per parlare di Berlusconi, quindi mi voglio tenere più lontano possibile dalla politica" (qui l'intervista completa). Peccato che per parole come queste Biagi fu poi allontanato dalla televisione, e non vedo molta gente con la sua semplice voglia e coerenza di difendere il diritto di esprimere le proprie idee...
Insomma, caro PD: vuoi di nuovo il mio voto? Concepisci prima una proposta politica, e poi ne riparliamo.

venerdì 5 luglio 2013

Egitto e Turchia: quando l'esercito fa la differenza

Piazza Tahrir stracolma di gioia per la deposizione di Morsi
Due anni fa l'Egitto esultava per la caduta del regime di Mubarak, che con l'appoggio dell'esercito governava da trent'anni il paese. Era, assieme a quello libico, il più considerevole rivolgimento del Mediterraneo, ed era (almeno apparentemente, ma questo lo saprà solo la storia) totalmente dovuto a pressioni interne: un paese di 90 milioni di persone prendeva in mano il suo destino politico e mandava a casa il dittatore, l'apoteosi della cosiddetta Primavera Araba.
Oggi come allora, Piazza Tahrir, la principale piazza de Il Cairo, si riempie di manifestanti che festeggiano la caduta di un governo: questa volta però il presidente deposto, Morsi, non era un dittatore, ma un politico eletto da votazioni democratiche, nelle quali i Fratelli Musulmani avevano riportato un cospicuo successo. Questi ultimi sono un movimento politico d'ispirazione islamica e fortemente organizzato sin dalla clandestinità durante il regime di Mubarak. Fondamentale per questo putsch è stato il ruolo dell'esercito: l'ultimatum a Morsi e al suo governo, il cui rifiuto ha poi portato alla deposizione dell'esecutivo, è stato annunciato dal capo delle Forze Armate, e in esso si chiedeva un cambio della politica del governo in carica che venisse incontro alle richieste dei manifestanti, che già da qualche giorno erano tornati a riempire le piazze.
I motivi del malcontento? La crisi economica egiziana, dovuta principalmente all'instabilità politica che ha fatto fuggire i turisti, unica vera risorsa per questo paese, che morde, anzi, azzanna la carne viva dei cittadini, ma anche la forte politica di islamizzazione del paese, culminata con la nuova costituzione approvata dal referendum dello scorso inverno, in cui si introducevano elementi della Sharia, la legge d'ispirazione coranica, nella legislazione nazionale: quest'ultima consultazione, che ha visto i sì vincere con il 64% delle preferenze, è stata accompagnata da forti polemiche su brogli e irregolarità.
Ricordiamo però un paio di cose: i Fratelli Musulmani, e il partito loro emanazione in Egitto Partito Liberà e Giustizia, sono legati a doppio filo con i palestinesi di Hamas, considerati terroristi dall'Unione Europea e dagli USA. Quello che è certo è che la politica egiziana, che sotto Mubarak era caratterizzata da buoni rapporti con Israele e gli USA, sotto il nuovo corso era sicuramente diversa, con continui incidenti alla frontiera (qui un esempio). Ma soprattutto vi era il pericolo per gli USA, dopo il fallimento della guerra in Iraq e le posizioni neootomaniste della Turchia, sempre più insofferente all'influenza occidentale, di perdere un altro stato amico quale era l'Egitto di Mubarak e di avere il solo Israele come avamposto in Medio Oriente. Insomma, non è che il nuovo corso facesse proprio piacere alle potenze occidentali...
Per questo io vedo nei nuovi fatti d'Egitto la convergenza di tre attori: i timori degli USA, la voglia di rivalsa dell'esercito e un forte scontento popolare effettivamente diffuso, e probabilmente almeno il secondo ha approfittato del terzo per riottenere il potere. Se però due anni fa c'era un'intera nazione unita contro il regime, oggi il paese appare spaccato in due: piazza Tahrir è piena e rappresenta il malcontento metropolitano, ma l'Egitto non è fatto solo di giovani e grandi città. Il consenso verso i Fratelli Musulmani è ancora forte, e il rischio è che avvenga qualcosa di simile a quanto accaduto nel 1992 in Algeria: dopo la vittoria del Fronte Islamico di Salvezza, altro partito islamista, i militari presero il potere annullando le elezioni, e il risultato fu una lunga guerra civile. Una radicalizzazione delle posizioni in campo potrebbe portare a un'estremizzazione dei Fratelli Musulmani e, perché no, anche a una loro congiunzione con i più radicali Salafiti: insomma, la situazione è in completa e continua evoluzione.
Per riassumere, la vera colpa di Morsi è stata forse non riuscire a riappacificarsi o a rendere inoffensivo l'esercito, vero potere nello stato egiziano e grande vincitore di queste giornate.
E la Turchia in tutto ciò che c'entra? È di questi giorni la notizia che un tribunale ha dato ragione ai manifestanti di Gezi Park: niente palazzi in questo parco di Istanbul, come volevano i primi a essere scesi in piazza, prima che ad essi si saldasse uno scontento per la politica del presidente Erdogan. Il paese, marginalizzato dall'Unione Europea dopo anni di rinvii sul suo ingresso e in poderosa crescita economica, cerca ora di crearsi una sua zona di influenza, e sta quindi accentuando, seppur in maniera non aggressiva, l'influenza islamica sullo stato, con maggiori attriti con l'occidente e in particolare Israele (vedere l'incidente della Freedom Flotilla).
Ma perché le manifestazioni di Gezi Park non hanno scalfito il potere di Erdogan e del suo partito, l'AKP? Anche in Turchia l'esercito ha storicamente un ruolo importante, ma Erdogan è stato capace di ridurne gradualmente l'influenza a vantaggio della polizia, e di inserire uomini del suo partito nell'apparato statale. Di conseguenza, è mancata ai manifestanti una forte sponda politica che riuscisse a rovesciare la situazione.
Ancora una volta, nei paesi del Medio Oriente, l'esercito si conferma quindi un attore importantissimo, che può fare la differenza tra un golpe riuscito e una manifestazione repressa.
Ora però vi lascio per un film intellettuale: la 28esima replica de "L'allenatore nel pallone", evento da non perdere ;) Spero che il mio post sia stato più chiaro delle lezioni di tattica del mitico Oronzo Canà... Buona notte!

martedì 2 luglio 2013

Perché le Birkenstock non vanno dappertutto come il prezzemolo

Visto il successo dei post precedenti sul tema Birkenstock (qui il mio e quello di Zurota), tale da meritare post su altri blog e suscitare risposte piccate alle mie argomentazioni, devo fare un contro-post.
Premettendo che ho detto che i sandali in alcune circostanze vanno bene (spiaggia, casa, pic-nic) o servono se uno fa un lavoro che richiede di stare spesso in piedi e camminare molto (come quello delle infermiere) o nel caso in cui portare scarpe chiuse comporta seri problemi come talloniti, evenienze in cui, come per l'apparecchio per i denti, l'estetica deve giustamente piegarsi alla necessità, in tutti gli altri casi, che sono ancora la maggioranza, non concepisco l'uso di queste calzature, in quanto brutte, anti-igieniche e inappropriate a contesti come uscire la sera in città o andare in un ristorante che non abbia le tovaglie di carta a quadretti bianchi e rossi.
Detto ciò, rispondo ai due post prima menzionati che esibivano argomentazioni contrarie alle mie.
1) Zurota (che non è quello nella figura qui a sinistra)
Il più breve dei due post, quindi quello che richiede una risposta più stringata. La sua argomentazione è: le Birkenstock le disegna anche, tra gli altri, quella gran gnoccolona di Heidi Klum (sì, è lei quella nella figura qui a sinistra), che è una modella: per questa ragione devono essere per forza belle.
Questa argomentazione è assolutamente erronea: equivale a dire che ogni campione di calcio deve essere per forza un grande allenatore. Se ciò fosse vero, Diego Armando Maradona, quello che per me è il più grande calciatore di sempre, dovrebbe essere un allenatore eccellente. La sua esperienza con l'Argentina, che nelle qualificazioni ai mondiali con lui ha subito la peggiore sconfitta della sua storia ed è stata eliminata ai quarti dai mondiali del 2010 con un sonoro 4-0 dalla Germania, conferma quanto dico. Resta comunque il fatto che Heidi Klum è una gran gnoccolona, e su questo niente da obiettare.

2) Ele in the UK
Su una cosa hai parzialmente ragione: le calzature aperte col tacco sono carine per l'estate (se si hanno bei piedi, vedere più in avanti), ma per me quelle sono scarpe aperte, e non tutte le scarpe aperte sono sandali (come mostra la figura qui a lato). Le tue argomentazioni sono (ma puoi sempre correggermi): 
a) I piedi femminili sono belli da mostrare
b) Sono più igienici
c) I mocassini fanno schifo
d) La comodità


Cominciamo a confutare
a) Non è assolutamente vero. Le immagini che mostri tu sono di piedi di una modella, scelti apposta in quanto belli, ma voglio darti una notizia: non tutti i piedi sono così belli, anzi: dita storte, caviglie orrende, piedi larghi o ossuti sono più comuni di quanto si voglia ammettere e non sono belli da vedere. D'altronde, il ho l'adipe, ma mica indosso canottiere aderenti e trasparenti: ognuno deve essere conscio dei proprio limiti.
Qualche esempio di ciò che dico: ve la ricordate Katie Holmes, la Joy di Dawson's Creek? Ora, non penso si possa dire che lei sia brutta, ma guardate un po' qui sotto che piedi ha...


E la rassegna non è finita qui. Ele, so che ti piace Jennifer Aniston: guarda un po' che piedi ha.


b) Che tu ci creda o no, io non ho mai sentito piedi maleodoranti da scarpe chiuse finché questi rimanevano nelle scarpe, mentre ne ho gustati di piedi puzzolenti in sandali e ne ho visti di belli neri. Hai parzialmente ragione nel dire che questa gente probabilmente non si lava, però resta il fatto che con le scarpe chiuse ciò non avviene, mentre può capitare anche a chi poi giustamente la sera si lava, ma durante il giorno deve esibire certe schifezze.
c) Non esistono per forza i mocassini: esistono scarpe traspiranti estive, insomma, non fossilizzarti su un solo esempio che mi è venuto in mente...
d) L'argomento della comodità lascia il tempo che trova. La prossima volta che ci vedremo (perché verrò a trovarti in UK, non preoccuparti...) se usciremo lo farò in canottiera e mutande: io mi sento comodissimo vestito così. E visto che io non posso certo ritenermi un maître-à-penser del prêt-à-porter (come invece il signor Gervasoni nel video qui sotto),


cito la frase della giornalista di Vogue, forse la più prestigiosa rivista di moda, Anna Dello Russo: Fashion is always uncomfortable: if you feel comfortable, you'll never get the look (Vestire alla moda è sempre scomodo: se ti senti comodo, non avrai mai il look giusto). Questa frase è un po' estremista, ma c'è un fondo di verità: non si può sacrificare l'eleganza sull'altare della comodità, o se lo si fa, poi non si può pretendere di sentirsi dire che si è belli da vedere. Questo è il sunto di tutto il mio argomentare: saranno anche comodi, ma i sandali fanno schifo da vedere. Questa frase ricorda il vecchio detto francese Per belli apparire, bisogna soffrire (l'originale è Il faut souffrir pour être belle), che non va applicato alla lettera, però un senso ce l'ha: i tacchi danno fastidio, ma sono belli, ad esempio, e quindi non vanno portati sempre, ma se l'occasione richiede un minimo di eleganza sono migliori delle ciabatte. 

Morale della favola
Insomma, quello che chiedo è solo di non vedere un dilagare di sandali in occasioni inopportune: in casa o in spiaggia o per motivi di lavoro/salute, sono permessi, ma non venitemi a dire che questo sia sempre il caso.

lunedì 1 luglio 2013

Di Birkenstock ed estetica - 2

In merito al precedente post di Steve, si precisa che Zurota, il Comitato di Redazione, il Consiglio Direttivo, quello di Amministrazione e tanti altri si dissociano dalle dichiarazioni, neppure velatamente reazionarie, del dissidente Steve (le ultime notizie lo danno disperso nelle lontane lande desolate del Nord Est, un postaccio chiamato Furlania).

Si desidera inoltre chiarire che le dichiarazione del dissidente non rispecchiano la linea editoriale, ne lo spirito di codesto bloggo. Questo bloggo ama la Birkenstock.

E chi parla di estetica dovrebbe sapere che la signora Heidi adora le Birkenstock e pure le disegna!



Qui sotto si vedono le Birkenstock di Zurota mentre partecipano alla sfilata del gay pride.


W le Birkenstock, W il marxismo tabacciano!