sabato 19 ottobre 2013

Paese di camerieri, guide turistiche e ristoratori...

Una delle ricette che molti propongono per il futuro del nostro paese è basata sulla parola "bellezza". Secondo costoro, poiché nell'industria le delocalizzazioni (ossia lo spostamento delle attività produttive in paesi con un costo del lavoro minore) sono un processo inevitabile, la ripresa del nostro paese deve passare irrimediabilmente da quel patrimonio che il nostro paese ha e che non può essere spostato altrove: paesaggio, cultura e cibo.
Ora, effettivamente io ogni volta che andavo a trovare i miei zii a Matera e vedevo un panorama dei Sassi come quello qui sulla sinistra rimanevo stupefatto (per tutti i campanilisti come me, non rompete, so che ce ne sono tantissimi di bei paesaggi). Inoltre, capolavori culinari come i bucatini all'amatriciana, enologici come i vini del Collio (così ho citato anche qualcosa del centro o e del nord Italia), città che tolgono il fiato come Venezia, Firenze, Roma o Napoli possono essere usati per fare tanti soldi: non è vero, come disse Tremonti un giorno (quello vero purtroppo, non l'imitazione di Guzzanti) che la cultura non si mangia. Per non dimenticare il patrimonio del tessile.
Ma...
Ma davvero vogliamo pensare che l'unico futuro dell'Italia sia diventare un enorme museo a cielo aperto, con le sue città che vivono di visitatori mordi e fuggi come nei parchi dei divertimenti intenti a comprare borse e vestiti di lusso, e pensare che agriturismo e ristorazione possano salvarci dal declino? Vogliamo davvero ridurre noi e i nostri figli ad una massa di camerieri, cuochi, lavapiatti, ristoratori, agricoltori, guide turistiche e chi più ne ha più ne metta?
È vero, il turismo può portare enormi guadagni, ma anche i paesi che sono davanti a noi per numero di visitatori, compresi quelli che hanno subito una forte deindustrializzazione, non vivono di solo turismo: la Francia ha case automobilistiche e compagnie farmaceutiche, gli Stati Uniti hanno Google ed Apple, la Cina è ormai il capannone industriale del mondo e la Spagna, persino la Spagna, con Telefonica sta comprando la Telecom.
Ci vogliamo rendere conto che senza un settore industriale con i controfiocchi non andiamo da nessuna parte? Ovviamente industria non vuol dire solo acciaierie stile ILVA di Taranto: però avevamo un settore chimico competitivo, facevamo computer prima di Steve Jobs, e potrei andare avanti a lungo... E ora la soluzione quale deve essere? Ridurci a una specie di enorme villaggio vacanze? Beh, i paesi che dipendono in gran parte dal turismo sono l'Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e le isole del Pacifico: chi parla della bellezza come di un deus ex machina salvifico (e non posso non andare con la testa a Renzi in questo caso) ci pensi bene, io voglio che i miei figli possano anche scegliere di fare il dottore, lo scienziato, l'avvocato, l'ingegnere, persino l'operaio qualificato. Senza attività produttive non si crea ricchezza, la si mendica dagli altri: e io, come tanti, non voglio che l'Italia si riduca a una sorta di intrattenitore accattone.

2 commenti:

  1. Io nel mio piccolo mi sto attrezzando col corso di barman e sommelier, nel caso un giorno decidessi di tornare nel Italia.
    (o nel TLT-STO, che ovviamente sarà il paradiso in terra, solo Barcola & osmizze, perché non ci sarà bisogno di lavorare.)

    ps: per gli ignoranti: TLT=Territorio libero di Trieste / STO = Svobodno Trzasko Ozemlje

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  2. Per i non triestini o non addentro a tali questioni causa mancanza di partner del posto:
    1) Poiché da quelle parti purtroppo la disoccupazione è endemica, vi è un gruppo autonomista che crede che una forte autonomia locale possa portare a una ripresa economica. TLT è il nome che una zona comprendente la provincia di Trieste e l'Istria, la prima occupata dagli americani e dagli inglesi (zona A), la seconda dagli jugoslavi (zona B), aveva tra il 1945 e il 1954, prima che le due fossero ufficialmente riassegnate a Italia e Jugoslavia rispettivamente. Questi autonomisti vogliono ritornare a quella situazione, senza l'Istria però, immagino, causa l'astio del triestino per tutti gli slavofoni e la poca predisposizione della Croazia a cedere quel territorio (e la scarsa voglia dei locali, presumo). Bassa imposizione fiscale e deregolamentazione dovrebbero essere i punti forti di questa proposta, insomma, per fare di Trieste il Kosovo d'Italia, ossia un bel territorio governato dalle mafie. Ciò gli autonomisti non lo dicono, anche perché molti di loro sono in buona fede, ma il risultato sarebbe solo questo.
    2) Barcola: quartiere di Trieste e lungomare cittadino per eccellenza. Da qui i locali amano tuffarsi in mare dagli scogli (in realtà dei massi messi lì) e sfrigolare sdraiandosi sul cemento. Di notte i bagnanti sono sostituiti da graziosi topi di fogna. Oltre alle ragazze in costume (mule in triestino, ricordo a Smarmello :P), a causa delle quali gli automobilisti facevano incidenti distraendosi per guardarle, e il comune per risolvere tale problema ha adoperato delle siepi a lato della carreggiata, il vanto del quartiere è aver dato i natali a Strehler, ma non so quanti del posto lo sappiano.
    3) Osmizza: in sloveno Osmica (pronuncia però identica), una specie di bar/agriturismo che per tradizione le aziende agricole locali aprono qualche giorno l'anno e in cui si possono gustare i loro saporiti prodotti enogastronomici. Per segnalare l'apertura e aiutare gli alcolizzati indigeni, vengono posizionate nel paese, a mo' di indicazioni stradali, dei rametti (frasche), da cui il nome friulano delle osmizze, "frascje".

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