venerdì 18 ottobre 2013

La scuola come un campo di guerra

Dopo un lungo periodo di silenzio dovuto agli impegni per ottenere l'abilitazione all'insegnamento (avrò gli esami finali il 28 e il 29 ottobre, ma ormai il più è fatto) torno con un post che solo casualmente è dedicato al mondo della scuola.
In queste settimane si può vedere sulla televisione italiana la seguente pubblicità, in cui si parla di raccogliere carta da donare alla scuola pubblica (per scrivere, non igienica, anche se pure quest'ultima scarseggia da quelle parti...).


Non fraintendetemi, è lodevole che un privato promuova l'obiettivo di donare 5 milioni di fogli di carta, per di più riciclata, alle scuole italiane: quello che trovo vergognoso è che tali iniziative siano necessarie. Generalmente questo tipo di donazioni si fanno per cause come costruire ospedali e campi per rifugiati in zone di guerra, o per chi fa volontariato o si occupa di fare ricerca su malattie troppo rare per interessare alle grandi compagnie farmaceutiche (vedere iniziative tipo Telethon). Che sia la scuola ad aver bisogno della beneficenza altrui, mancando addirittura di uno strumento semplice e allo stesso tempo fondamentale come la carta, però, aiuta a capire quale sia l'attuale declino del nostro paese.
Sarò retorico quando dico che un paese costruisce il proprio futuro tramite la scuola, e che quest'ultima è il mezzo migliore per garantire l'ascesa sociale a chi parte svantaggiato, ma sono tutte cose vere e sacrosante. Che uno stato giunga a disinteressarsi di essa, e quindi del proprio avvenire, talmente tanto che a questa manca persino la carta per stampare i testi dei compiti in classe sarebbe assurdo ovunque, ma non in Italia, dove purtroppo la retorica del cambiamento e della speranza per il futuro si sprecano, ma restano inutili se agli inviti alla speranza, che in ogni caso deve essere riacquistata, non seguono interventi concreti, reali, che aiutino a mantenere o a ricostruire il necessario ottimismo per l'avvenire.
Tranquilli, non voglio fare uno dei miei sproloqui di politica, però sentivo il bisogno di segnalare questa cosa. Da notare che simbolicamente il disinteresse della politica per la scuola pubblica non è cominciato da qualche liberista di destra: la Riforma Bassanini del 1999, quando al governo c'era D'Alema, fuse il Ministero dell'Istruzione Pubblica con quello dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, formando l'attuale MIUR. Tale legge fu attuata durante il governo Berlusconi del 2001, e Letizia Moratti fu il primo ministro dell'istruzione senza la dicitura "pubblica". Essa fece una breve ricomparsa nel 2006, quando ci fu l'esperienza del traballante secondo governo Prodi, per poi venire definitivamente cancellata quando Berlusconi rivinse nel 2008. Sto parlando di un simbolo, lo so, ma è significativo che lo Stato decida di smettere di concepire quella pubblica come l'istruzione per eccellenza, e ciò sia stato fatto da un governo di centro-sinistra.
Ora però vi saluto, e per rimanere in tema vi offro questo video con l'imitazione, fatta da Paola Cortellesi, di Letizia Moratti, in cui l'avversione per l'istruzione pubblica è simboleggiata dal fatto che tale parola viene da lei sempre bofonchiata. Alla prossima.

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