sabato 13 luglio 2013

Non pensare all'elefante.

Il titolo del post richiama un libro scritto da George Lakoff nel 2006: in breve, la tesi principale di questo testo era che se il Partito Democratico (quello americano) voleva tornare a vincere (in quegli anni George W. Bush era al suo secondo mandato presidenziale) doveva smettere di essere ossessionato dal suo avversario politico (il Partito Repubblicano, il cui simbolo è appunto un elefante), ma ricostruire una sua proposta politica con la quale convincere gli elettori a prescindere dai difetti dell'avversario. Per continuare con le metafore zoologiche, in Italia il Partito Democratico (quello italiano) dovrebbe smettere di pensare continuamente al Giaguaro (o al Caimano, per fare citazioni più dotte) ed elaborare una sua proposta politica chiara, precisa e vincente.
Questi giorni sono un'ennesima prova che siamo lontani da un tale traguardo. Il 10 luglio il PD vota la richiesta del PDL di sospensione delle sedute pomeridiane, per concedergli di riunirsi e discutere della decisione della Corte di Cassazione di iniziare il terzo grado del processo Mediaset il 30 luglio, in modo da evitare, la possibile parziale prescrizione prefigurata dal Corriere della Sera, che allontanerebbe una sentenza definitiva. Evidentemente i destini giudiziari di Berlusconi erano più importanti della discussione sull'istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (questo era previsto al Senato ed è stato fatto il giorno dopo) o della conversione del Decreto Legge 63 di quest'anno sull'Ilva, con il quale si è cancellato il fermo delle attività dell'acciaieria imposto dai magistrati (alla Camera, anch'esso rinviato al giorno dopo). Chi se ne frega delle riforme (sempre evocate, come un mantra, almeno da quando ho cominciato a seguire un telegiornale) o dell'Ilva di Taranto: Silvio rischia di essere buttato fuori dal Parlamento, questo sì che interessa i cittadini!
Di oggi poi è la notizia di Libero di una possibile grazia di Napolitano a Berlusconi in caso di sua condanna (cosa seccamente smentita dal Quirinale), nonché di una proposta di modifica della legge del 1957 che vieta a chi è titolare di concessioni pubbliche di essere eletto: da "ineleggibile", Berlusconi diventerebbe così "incompatibile", e avrebbe un anno per scegliere se dimettersi da Senatore o vendere le sue reti (magari ai figli). Il tutto nel giorno in cui si rumoreggia su una possibile apertura del M5S a un governo con il PD e del conseguente lavoro dei pontieri di quest'ultimo (cosa a cui non credo, sono solo tatticismi per quietare i falchi PDL).
Insomma, siamo sempre a parlare di Berlusconi, non di politica, pensando che queste due cose siano indissolubili. C'è da dire che questo post mi è stato indirettamente ispirato da Veltroni, che in un'intervista televisiva ha proprio citato il libro di Lakoff. Io non sono mai stato veltroniano, alle primarie del 2007 per il segretario votai addirittura Rosy Bindi, e gli imputo buona parte della dissoluzione dell'impianto ideologico attuale della sinistra, perché ha voluto parlare di apertura e contaminazione della politica del PD prima di costruirne una, come invece tentò, seppur con mille incertezze, Bersani (ne dovrò parlare in un post, questa sintesi è troppo corta); però questo suo richiamo è assolutamente corretto, anche perché non è originalmente suo. 
Dettare l'agenda politica è uno degli accorgimenti politici più vecchi del mondo: basti pensare che Gramsci per primo inventò il concetto di "egemonia culturale" per spiegare il mancato successo, previsto invece da Marx, della rivoluzione socialista nei paesi industrializzati e in particolare in Germania (Marx pensava a quest'ultima, mica all'URSS post-feudale...). Non a caso Gramsci viene studiato nelle Università Americane (qui un esempio) mentre noi lo ignoriamo, e anziché cogliere la sua lezione, come invita a fare anche Lakoff, ci perdiamo a parlare ancora una volta di Berlusconi: ma d'altronde, che si aspettava il PD quando ha scelto le larghe intese? Di non essere condizionato dai processi?
Bisognerebbe avere l'atteggiamento di Benigni, che intervistato da Biagi nel 2001 (non si trova il video online, rimosso per motivi di copyright dalla RAI che però non ha ancora provveduto a mettere sul sito le puntate de "Il fatto"), disse le seguenti parole "Non voglio parlare di politica. Sono qui per parlare di Berlusconi, quindi mi voglio tenere più lontano possibile dalla politica" (qui l'intervista completa). Peccato che per parole come queste Biagi fu poi allontanato dalla televisione, e non vedo molta gente con la sua semplice voglia e coerenza di difendere il diritto di esprimere le proprie idee...
Insomma, caro PD: vuoi di nuovo il mio voto? Concepisci prima una proposta politica, e poi ne riparliamo.

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