giovedì 26 giugno 2014

Gli antichi greci la sapevano lunga... - Socrate e la disobbedienza civile

Antigone
Quando pensiamo alla disobbedienza civile, ossia alla deliberata violazione di una legge in segno di protesta contro quest'ultima, ritenuta ingiusta, il primo esempio che viene in mente è Gandhi, che con la sua lotta non violenta si oppose alla colonizzazione inglese. Uno dei più famosi episodi che riguarda il Mahatma è la cosiddetta marcia del sale, con la quale ha violato le leggi sul monopolio del commercio del sale indiano esercitato dal governo britannico. Questa pratica però non è stata esercitata per la prima volta dal più grande indiano di tutti i tempi.

Se uno dei primi testi in cui essa è proposta esplicitamente è il bellissimo Discorso sulla Servitù Volontaria di de La Boétie, tuttavia il primo esempio è ancora più antico. Bisogna risalire (non a caso) alla mitologia e drammaturgia greca, con Antigone che si rifiuta di seguire gli ordini del sovrano e dà degna sepoltura a suo fratello.

Il primo caso documentato appartiene sempre alla Grecia antica, e si riferisce a uno dei più grandi uomini che abbia calcato questo pianeta: Socrate. Per il metro di giudizio moderno egli sarebbe stato solo uno sfaccendato perdigiorno, che poteva sopravvivere solo perché la moglie Santippe mandava avanti la baracca mantenendo lui e tre figli, di cui due forse erano addirittura non di lei ma generati da una concubina di nome Mirto (il concubinaggio all'epoca era una pratica incoraggiata): Giovanardi non avrebbe potuto sopportarlo, ritenendolo il peggiore degli amorali.

Tuttavia il pensiero di quest'uomo è considerato uno dei cardini della filosofia occidentale, e il suo contributo indispensabile. Probabilmente i contemporanei lo consideravano (almeno prima della sua morte) un rompicoglioni da primato, che con le sue continue domande non ti mollava più fino a portarti allo sfinimento: quello, se per concludere frettolosamente rispondevi "Hai ragione, Socrate", era capace di chiederti "Ma allora, visto che dici che ho ragione, vuol dire che sai che cosa essa sia. E allora dimmi, cos'è?"
Socrate
Certo, buona parte della sua fama è dovuta alla fortuna che le sue gesta e le sue idee siano state narrate da uno scrittore fenomenale, Platone. Ma secondo me essa deriva anche dall'essere stato Socrate il primo ad aver praticato la disobbedienza civile. Nel dialogo (sempre di Platone) che racconta il processo che lo ha poi portato alla condanna a morte, vengono citati tre episodi in cui egli, pur di non andare contro il suo senso di giustizia, si è opposto alla legge vigente.

Il primo caso fu il processo in seguito alla battaglia delle Arginuse (un episodio della guerra del Peloponneso), nel quale i comandanti furono condannati per non aver recuperato i naufraghi: Socrate fu l'unico a votare contro il processo congiunto e a esprimersi per un giudizio separato per ciascuno di loro, al fine di identificare le responsabilità individuali e non limitarsi a un verdetto sommario. Nel secondo rischiò la pena capitale, perché si rifiutò di eseguire la condanna a morte nei confronti di un cittadino da lui ritenuto innocente: quella volta gli andò bene solo perché nel frattempo il governo che aveva emesso la sentenza era stato rovesciato.

Il terzo caso gli fu letale: proprio durante il processo nei suoi confronti egli, nel momento in cui gli fu offerta la possibilità di proporre una pena alternativa alla condanna a morte, in segno di protesta contro una sentenza che riteneva ingiusta arrivò a proporre l'equivalente odierno dell'essere mantenuto a vita come eroe della patria. Probabilmente il gesto era un misto di megalomania e consapevolezza delle proprie azioni. Di sicuro l'uomo aveva un'enorme considerazione di sé, ma due conti se li era fatti: a 70 anni ormai gli restava poco da vivere, e come garantirsi l'immortalità se non con una sentenza ingiusta nei confronti di un uomo che difendeva le sue idee? Accettare la colpevolezza sarebbe stata un'abiura di tutto il suo pensiero, e da qui la sua offerta alternativa provocatoria e la genialità nell'aver per primo capito ciò.

La prova di quello che dico è nelle sue parole prima e dopo la condanna. Durante il processo egli disse
O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio che a voi, e finché abbia respiro, e finché ne sia capace, non cesserò mai di filosofare e di ammonirvi


mentre quello che gli chiedeva l'accusa era proprio di ripudiare le sue idee e di smettere di insegnarle. E cos'altro sono le parole "obbedirò piuttosto al dio che a voi", visto che il primo per lui era il suo senso della giustizia, se non un atto di disobbedienza civile?
Dopo la condanna, invece,

E dovete sperare bene anche voi, o giudici, dinanzi alla morte e credere fermamente che a colui che è buono non può accadere nulla di male, né da vivo né da morto, e che gli Dei si prenderanno cura della sua sorte. Quel che a me è avvenuto ora non è stato così per caso, poiché vedo che il morire e l'essere liberato dalle angustie del mondo era per me il meglio. [...]Quando i miei figlioli saranno grandi, castigateli, o Ateniesi, tormentateli come io ho tormentato voi se vi sembrano di avere più cura del denaro o d'altro piuttosto che della virtù; e se mostrano di essere qualche cosa senza valere nulla, svergognateli come ho fatto io con voi per ciò che non curano quello che conviene curare e credono di valere quando non valgono nulla

Insomma, più che la propria vita, ciò che contava erano le sue idee, per le quali valeva la pena anche di morire, pur ricevendo offerte di fuga per potersi salvare.
Aveva capito che la condanna a morte gli sarebbe valsa una fama eterna, e così fu: gli ateniesi, qualche giorno dopo la sua esecuzione, si pentirono del proprio gesto, dichiararono il lutto cittadino e fecero esiliare o condannare a morte coloro che avevano denunciato Socrate e istruito il processo contro di lui. Troppo tardi nella miope ottica di un singolo uomo, ma con tempismo perfetto dal punto di vista della storia, che era quello che contava per un personaggio della sua caratura.


A coloro che sono riusciti ad arrivare alla fine del mio ennesimo sproloquio, dedico questa canzone che in fondo è la massima celebrazione di due personaggi che hanno ricevuto una condanna ingiusta: Sacco e Vanzetti, cantati da Joan Baez su musiche di Ennio Morricone. Alla prossima

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