lunedì 30 giugno 2014

L'etica dello sport

Nei miei post tendo a essere troppo serioso, quasi ossessivo con certi argomenti "pesanti" (specie di politica). Oggi voglio quindi cambiare, e in maniera radicale: parlerò di sport. Tranquillizzo subito Zurota: non ho alcuna intenzione di disquisire di statistiche sportive, dell'eliminazione dell'Italia o di altre amenità simili. Dai mondiali prenderò solo lo spunto per parlare d'altro.
In questi giorni il Post ha pubblicato delle foto risalenti all'ultimo mondiale svoltosi nel continente americano, ossia USA 94. Questi sono stati i primi campionati mondiali di cui avessi piena cognizione: nel 1990 dovevo ancora compiere 7 anni, e di quella manifestazione ho solo un vago ricordo di quella che probabilmente fu Italia-Argentina. Del 1994 invece conservo ancora la memoria delle partite a casa degli amici, e della finale (persa) guardata con tutto il paese, alla sagra: ovviamente non si erano fatti sfuggire un'occasione del genere (che in media accade una volta ogni 12 anni), per far bere tante persone e guadagnare soldi con poco sforzo.

Questi ricordi mi fanno venire in mente una delle cose che mi piace di più dello sport: l'idea di una comunità che si ritrova, si riunisce, tutti con lo stesso desiderio, le stesse speranze. Purtroppo, come evidenziato da Marckuck, questo spirito noi italiani lo troviamo solo in occasione di una partita di calcio, scordandoci invece di applicarlo nella vita di tutti i giorni: se lo facessimo, allora non ci mancherebbero il senso civico, il rispetto delle regole, la capacità di collaborare anziché tirare a fregarci, tutte cose invece in cui siamo deficitari. 

Persino all nostra nazionale queste virtù sono mancate. Essa, una volta eliminata, ha mostrato quanto fosse un'accozzaglia di egocentrici, tra vecchi eroi del pallone, che non vogliono accettare che il loro tempo sia finito, e giovani arroganti che ancora non hanno dimostrato niente ma che, in virtù anche di certi contatti a loro generosamente offerti, credono di avere il mondo ai loro piedi (e probabilmente, se a 20 anni avessi percepito tali cifre, sarei impazzito anch'io).

Lo sport però ci dà anche un'altra lezione, ben sintetizzata nella frase che i cardinali nel conclave recitano al neo-eletto pontefice mentre bruciano le schede che lo hanno portato all'elezione: "Sic transit gloria mundi", così fugge via la gloria terrena.

Lo sport è la migliore rappresentazione di questo concetto. Un anno sei considerato un fenomeno, il migliore, venerato e da sinceri ammiratori e da leccaculo che pensano così di brillare della tua luce riflessa, e magari l'anno successivo basta una festa di troppo a tarda notte, un infortunio scalognato, o anche semplicemente un'armata storta (càpitano), per farti precipitare nella polvere, e più la tua ascesa era stata impetuosa e più poi i tuoi detrattori (nelle cui schiere ci saranno anche i leccaculo citati prima) faranno fragore nell'avventarsi sui resti della tua gloria.


Il fato può voltarti le spalle anche nel momento apicale della tua carriera (o della tua vita): pensate alla foto qui sopra. Baggio nel 1994 era considerato il più forte, l'anno prima aveva vinto il Pallone d'Oro ed era il simbolo del suo sport. Poi nel 1994 ha sbagliato l'ultimo rigore dell'Italia nella famigerata finale di USA 94: la sua occasione di essere definitivamente consacrato se ne era andata, e lui non toccò mai più quei vertici. Intendiamoci, il talento rimase intatto e cristallino, e Baggio vinse anche dei trofei dopo quell'anno, ma non ebbe mai più il mondo ai suoi piedi come allora. Lui, da persona schiva (lo avete mai più visto dopo il suo ritiro?) e intelligente ha saputo gestire bene la cosa, ma altri sarebbero crollati al suo posto. Voglio comunque chiarire una cosa: io idolatro Baggio, talmente grande che Guardiola, a un giovane ma già fortissimo Messi, disse "Guarda che prima di arrivare ai livelli di Roberto Baggio devi farne di strada..."


Tornando alla fugacità della gloria terrena, voglio chiudere con due frasi. La prima è tratta dai Carmina Burana, che recitano 

Rex sedet in vertice:
caveat ruinam. 
Nam sub axe legimus
Hecubam Reginam

un monito al re che siede sul trono a stare attento alla possibile prossima rovina, ché sul mozzo della ruota del destino vi è scritto "Ecuba regina", a ricordo dell'ultima regina di Troia ridotta poi in schiavitù.


A questa minaccia però voglio contrapporre le parole di Kipling (purtroppo citate anche da Grillo), scolpite all'ingresso del campo centrale a Wimbledon. 

If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same
[...]
Yours is the Earth and everything that's in it,
and - which is more - you'll be a Man, my son!"

Lo sport sa essere anche nobile, ma in Italia ce ne siamo scordati, fissati come siamo col calcio dei milionari. Il mio saluto, avendo citato io una poesia che Kipling pensava per un figlio, non può che essere con Yusuf Islam / Cat Stevens. Alla prossima.



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