domenica 6 gennaio 2013

Che ne pensate di... Monti, la sua lista, la sua agenda


Cari amici de La Spuma e lo Spritz, se pensavate che le vacanze natalizie potessero obnubilare le nostre menti a suon di alcool e cibo e rendere più difficile il ritorno alla regolare attività di scrittura online, beh, le vostre speranze sono andate deluse.


Per quei pochi (spero però che siano tanti) che invece avessero sentito la mancanza delle nostre cavolate e/o analisi più o meno serie, mi fa piacere annunciarvi che l’attesa, durata in fondo solo una settimana, è finita. Per cominciare l’anno nuovo con un tema leggero, ho deciso di parlare di Monti, della sua lista e della sua agenda.
Se per il 2012 l’attore politico che ha visto la maggiore crescita dal punto di vista elettorale è stato il Movimento 5 Stelle, non si può negare che la fine del 2012 e l’inizio di questo 2013 sono stati e saranno segnati, nel bene e nel male, dalla scelta di Monti di fare politica “partitica” o, per usare le sue parole, di “salire in campo”.
La mia opinione su Monti è presto detta: dal punto di vista personale mi sembra una persona a modo, sobria, sicuramente intelligente e competente, che con la sua azione di governo ha mostrato di essere un uomo della destra più classica, quella europea ed europeista legata al Partito Popolare Europeo, che vede ormai Berlusconi come un corpo estraneo e punta quindi sul professore della Bocconi.



Se il mio giudizio per l’uomo Monti è di rispetto, per quanto molte cose ci dividano dal punto di vista politico, devo esprimere un parere decisamente meno positivo, seppur provvisorio, sulla sua lista.
Va detto che non sono ancora stati resi noti tutti i nomi che comporranno l'a lista che prende il nome dell’ex premier, quindi bisogna basarsi su indiscrezioni e promesse. Sono stati annunciati criteri molto restrittivi per la composizione delle liste: no a conflitti d’interesse e a candidati con procedimenti in corso o condanne definitive; nella sua lista non dovranno esserci parlamentari attualmente in carica, mentre per i due partiti alleati alla Camera (UDC e FLI) non potranno presentarsi parlamentari con più di due mandati alle spalle, con due deroghe per ciascuno di essi (i loro leader e altre due persone). Al Senato invece, per motivi tecnici legati alla legge elettorale (ah, il dominio della tecnica di heideggeriana memoria… giusto per far bella figura con Smarmello),



ci sarà una sola lista, per la quale i parlamentari che si presenteranno dovranno rispettare i limiti legati ai mandati precedenti.


Se le premesse sembrano promettenti, resta comunque il fatto che i nomi usciti finora per la lista Monti (l’ex ministro Andrea Riccardi e Marco Simoni della London School of Economics per esempio) fanno più pensare, per dirla con Fassina, a un club Rotary che a una tornata elettorale: come ho già detto in precedenza, mi rifiuto di pensare che la società civile debba essere rappresentata esclusivamente da persone vicine alla Chiesa o da professori. Ogni giudizio definitivo è comunque rimandato a quando si conosceranno tutte le candidature e i posizionamenti sulla scheda elettorale di ciascun nome.. Ricordo che tale ordine è fondamentale nello stabilire chi avrà possibilità di essere eletto: il numero 15 in lista, per esempio, non ha alcuna possibilità di diventare Onorevole.
Devo però ricordare la mia allergia nei confronti di tutte le liste e i partiti personali, che sono stati una delle piaghe della politica della cosiddetta Seconda Repubblica. Un movimento politico e i suoi programmi dovrebbero prescindere da chi in quel momento lo guida: fondare un partito che fosse “spersonalizzato” sarebbe stato pertanto un gran segno di discontinuità nei confronti degli ultimi anni. Monti non l’ha fatto per un semplice motivo: sa che il Centro, senza il suo nome, è destinato a sicura marginalità, e quindi deve esporsi in prima persona, poiché probabilmente gli sarà stato dagli stessi alleati Fini e Casini.
  
Il 23 dicembre scorso, infine, è stata pubblicata online la cosiddetta Agenda Monti. Poiché in latino il termine “agenda” significa “Le cose da fare”, dal nome ci si aspetterebbe che tale documento contenga una lista di provvedimenti particolareggiati da prendere nei 5 anni di governo in caso di vittoria, così come noi sulla nostra agenda annotiamo nel dettaglio impegni e scadenze.
Non è così: in pochi casi si danno tempistiche precise, o si espongono in maniera chiara provvedimenti da prendere e atti concreti da compiere. Essa è più un classico programma politico, con degli indirizzi che si dichiara di voler seguire in considerazione della situazione attuale e dell’attività del precedente governo dei tecnici: se col termine “agenda”, quindi, si voleva segnare un distacco dai modi e dalle parole della politica, all’atto pratico poi tale distanza risulta davvero scarsa.
Analizzando più nel dettaglio tale documento, esso è composto di quattro capitoli, qui di seguito elencati accanto a un titolo “alternativo” da me concepito che ne riassume il contenuto:
  • Italia, Europa. Politica Europea e internazionale
  • La strada per la crescita. Economia.
  • Costruire un’economia sociale di mercato, dinamica e moderna. Lavoro e stato sociale.
  • Cambiare mentalità, cambiare comportamenti. Istituzioni, politica e giustizia.


Il primo capitolo è l’unico su cui io concordo. In esso si rivendica la maggior credibilità che l’Italia ha guadagnato da quando Monti è premier, e si illustra la necessità di rapporti internazionali sempre più multilaterali (quindi non con una sola super-potenza, vedi gli USA, ma anche con Cina, Brasile India e tutti i paesi emergenti) in cui però l’Italia non può presentarsi come soggetto a sé stante: lo deve fare l’Europa, a cui ogni paese membro deve dare deleghe di sovranità economico-fiscale e concedere maggiori controlli sulla sua politica in cambio però di una maggiore integrazione comunitaria e meno intergovernativa, in cui quindi a decidere non siano organi in cui compaiano i governi nazionali ma assemblee come il Parlamento, per non ridurre l’Unione a un compromesso al ribasso tra gli interessi dei singoli paesi membri.

Entusiasta del primo capitolo, sono arrivato al secondo, e qui la mia vecchia anima vetero-sinistrorsa (o almeno, così mi definirebbero quelli di destra, mentre paradossalmente per i compagni di SEL sono pure troppo “moderato”, probabilmente…) ha cominciato a mugugnare. Ricordo che non sono un’economista, e quindi in caso di errori o tesi poco condivisibili su questo campo sono aperto a correzioni e suggerimenti, anche a costo di cambiare totalmente quello che ho scritto.
Si parla di valorizzare e/o dismettere i beni dello stato al fine di diminuire il debito pubblico, quando si sa che in questa fase tutte le aziende pubbliche quotate in borsa hanno valori troppo bassi e gli asset immobiliari sono invendibili per la crisi del mercato: qualunque dismissione in questo caso sarebbe una svendita.
Sempre sulla stessa linea bisogna, secondo l’agenda Monti, continuare con le liberalizzazioni e aprire al privato i beni e i servizi pubblici: che ne è dei referendum sull’acqua a cui io due anni fa partecipai attivamente sia facendo campagna politica sia votando con convinzione, come del resto la maggioranza degli elettori?
Si evidenzia poi la necessità di puntare su maggiore export, sulla falsariga della Germania, senza dire però che questo risultato è stato anche frutto di una congiuntura irripetibile (l’entrata in vigore dell’euro e l’apertura totale di un mercato di 250 milioni di persone con paesi senza la stessa forza industriale, tra le altre cose), e che in questo paese il potere d’acquisto dei lavoratori negli ultimi dieci anni non è aumentato: i tedeschi sono, già da prima della crisi, non sono diventati più ricchi da vent'anni. Personalmente dubito di tutte le ricette in cui il mercato interno è considerato un orpello inutile e in cui quindi i salari possono essere abbassati: quanto può andare avanti un’economia i lavoratori non possono acquistare i beni che essi stessi producono?
Il programma di Monti risulta poi un po’ inaffidabile su punti come formazione ed economia verde: in esso si dice che bisogna rimotivare gli insegnanti e legarne il salario alla produttività, essere intransigenti con chi viola le leggi in materia di impatto ambientale e riformulare una nuova strategia energetica nazionale. Guardando i provvedimenti presi dal governo tecnico, non sempre convertiti in legge, queste affermazioni preoccupano: si voleva aumentarel’orario di lavoro degli insegnanti senza aumentarne lo stipendio, si è fatto il decreto ILVA, per salvare la proprietà di un’azienda che ha inquinato tantissimo e si è spesso parlato di trasformare l’Italia, che già è in bilancio energetico positivo, in un hub dell’energia, giusto per poterla vendere poi agli altri paesi. Se il prezzo di tutto ciò sono rigassificatori vicino al centro città come si vuole fare a Trieste o perforazioni vicino alla costa adriatica non importa, qui l’ambiente o i territori non contano più, tant’è che si parla di riportare l’energia a essere una competenza puramente statale. Di converso non si menzionano mai le energie rinnovabili se non per rivederne gli incentivi, sicuramente al ribasso (opinione mia). In effetti il mercato degli incentivi energetici è ormai drogato, ma mi rifiuto di credere che tagliarli o eliminarli sia l’unico provvedimento che si può prendere a proposito.
Per quanto riguarda i punti sui cui posso essere d’accordo, spesso si usano frasi fatte e programmi vaghi. Si promettono meno burocrazia, maggior accesso al credito per le imprese, in particolare le PMI, energia meno cara, giustizia civile più rapida. Si parla di un aumento degli investimenti privati in ricerca per mezzo di generici incentivi e di maggiore informatizzazione del paese. Si vuole una politica agricola con un minore utilizzo di superficie agricola (spero però che questa non venga convertita in terreno edificabile), una gestione integrata delle acque e una generica tutela del made in Italy, anche con rilancio del turismo. Come si intende fare tutte queste cose, però, è poco chiaro.
Ho lasciato per la fine la parte in cui si parla di ridurre il carico fiscale su lavoro e impresa a scapito di grandi patrimoni e consumi. Se la riduzione di cui si parla è opportuna e potrebbe essere un ottimo provvedimento anti-ciclico, ossia capace di invertire la tendenza economica recessiva attuale, non capisco come si possa pensare di aumentare la tassa sui consumi, ed essenzialmente per due motivi. Già ora la nostra IVA è una delle più alte d’Europa, e non capisco come si possa pensare, in un periodo di forte crisi come quello attuale, di penalizzare ancora di più i consumi e il potere d’acquisto dei cittadini e delle famiglie. Inoltre, le imposte indirette come quelle sui consumi sono tra le più ingiuste, poiché sono uguali per tutti, a prescindere dal reddito, mentre in questo paese, secondo me, ci sarebbe bisogno di una redistribuzione del carico fiscale su chi ha maggiori redditi, rendite e patrimoni, come prevede la costituzione quando parla di progressività fiscale. Ricordo che l’Italia è uno dei paesi dove la sperequazione della ricchezza è aumentata di più negli ultimi anni. Monti di sicuro ne è a conoscenza, ma sa che tassare i consumi è molto più semplice che farlo con le rendite finanziarie, molto mobili e non menzionate nella lista precedente, pur essendo già ora tassate con un’aliquota tra le più basse d’Europa. Ancora più difficile poi è andare a rintracciare l’evasione, quindi egli va sul sicuro coi consumi, anche se ciò non è equo dal punto di vista sociale e potrebbe forse essere addirittura inopportuno in questo frangente storico.

Dopo aver letto il secondo capitolo, ammetto che per i successivi avevo il dente assai avvelenato, ma anche una successiva rilettura ha solo in maniera trascurabile smussato tale atteggiamento.
Assieme a vaghi incentivi per occupazione giovanile e in età avanzata, e a una non meglio definita minore contrapposizione pubblico-privato nella sanità, cosa che non capisco: io non voglio che nemmeno un euro pubblico vada a una clinica privata, sarà demagogico ma io la penso così. Un po’ generici gli slogan sulla mobilità sociale, che diventano promessa elettorale quando si parla di minori influenze politiche nei posti pubblici, e sulla politica familiare più forte, pur con un riferimento positivo ai congedi di paternità.
Apprezzabile il riferimento a forme di reddito minimo legato ad un impegno attivo di reinserimento professionale: tu cerchi lavoro e fai corsi, io ti pago un sussidio di disoccupazione.
Ho lasciato le cose con cui sono in disaccordo per la fine. Secondo Monti bisognerebbe incentivare i fondi pensione, quando questi spesso si traducono in perdite economiche  per i lavoratori. Si parla di superare il dualismo tra lavoratori protetti e non protetti: chissà perché, quando sento queste parole, non si propone mai di aumentare le tutele per i precari, ma solo di ridurre quelle dei “fissi”. Infine, il vero cavallo di battaglia della destra italiana: la decentralizzazione della contrattazione salariale. Questo significa, in termini pratici, la riduzione dell’importanza del contratto di lavoro nazionale a vantaggio delle trattative a livello della singola impresa. A me pare tanto semplice che il contratto nazionale dovrebbe servire a garantire per tutti, su tutto il territorio nazionale, un salario che consenta di vivere in maniera dignitosa, e che poi su questa base i contratti in ogni singola azienda dovrebbero riguardare gli incentivi legati alla produttività. Chiaro invece è l’intento di chi vuole “decentralizzare”: abbassare i salari, perché i lavoratori, in ogni singola azienda, hanno minor potere contrattuale rispetto a quando agiscono tutti assieme. A riguardo basta fare un esempio: un conto è uno sciopero nazionale, che ferma un intero settore per un certo periodo, un altro le manifestazioni dei lavoratori di una singola azienda, che spesso si rivelano inutili poiché una grande azienda può sopportare un periodo di fermo in uno stabilimento se gli altri continuano a produrre, come insegnano le vicende dei lavoratori FIAT di Pomigliano D’Arco.

In quest’ultimo capitolo Monti, che sa che i suoi punti forti sono soprattutto la reputazione internazionale e la competenza economica, ha inserito un po’ di altri temi, spesso senza un filo conduttore e soprattutto senza quella chiarezza d’azione che invece riserva per altri temi (vedi tasse sui consumi o decentralizzazione del contratto di lavoro nazionale).
Si va dalla modifica della legge elettorale (senza però specificare quale modello si preferisce), alla lotta all’evasione e alla criminalità organizzata, passando per un federalismo responsabile (non meglio definito) e alla riduzione dei contributi pubblici in politica e una loro maggiore trasparenza. Monti, rendendosi conto che la norma anti-corruzione approvata in Parlamento mancava di alcuni “dettagli” come falso in bilancio, auto-riciclaggio e termini di prescrizione, li promette per la prossima legislatura.


Tornando alla lotta alla criminalità organizzata, si parla di maggiore utilizzo di reati spia e di una migliore legislazione in materia di confisca dei beni mafiosi, in contrasto con quanto fatto da Berlusconi (vedi norme su intercettazioni) e di maggiore trasparenza negli appalti. Insomma, una vaghezza generale, anche se in materia di corruzione e criminalità organizzata si vede qualcosa di più concreto.
Purtroppo c’è anche qui un punto secondo me negativo: si parla di abbandono della concertazione tra le parti sociali in favore di una generica consultazione. Insomma, anziché decidere in consenso con costoro, un governo li ascolta e poi si fa di testa propria. La cosa è negativa, specie se si pensa che una riforma importante come quella Dini del 1995 sulle pensioni, che ha sancito l’adozione del più economicamente sostenibile sistema contributivo invece di quello retributivo, è stata fatta consultando tutte le parti sociali, e non come si è fatto, per esempio, in occasione della discussione in materia di produttività dell’ottobre scorso, in cui si è lasciata fuori  la CGIL, il sindacato più grande.

In conclusione, vedo in Monti un Berlusconi più presentabile in ambito internazionale e dal punto di vista dello stile e della giustizia (è incensurato e non candiderebbe mai un Dell’Utri). Non è poco, ma è comunque un conservatore, di una destra più classica ed europea e meno demagogica, ma sempre in antitesi ai temi di chi si sente progressista e di sinistra, specie quelli del lavoro. L’agenda Monti è per me un insieme di vaghe dichiarazioni d’intenti e più dettagliate demolizioni dei diritti dei lavoratori.
Segnalo infine l’articolo di Barbara Spinelli, che analizza il respiro politico di tale agenda e fa notare come si parla di democrazia solo in occasione della primavera araba, che invece ha visto purtroppo l’adozione di costituzioni “religiose” in Egitto e Tunisia. Per dirla in breve, la Spinelli afferma che l’idea che Monti ha del governare, con il suo voler dichiarare superata la dicotomia (il dualismo) destra-sinistra, è tipica di chi vuole annientare la dialettica politica a favore di un sapere tecnico per definizione giusto e quindi incontrastabile, quando invece la discussione, il confronto e il compromesso (nella sua più nobile accezione) tra idee diverse sono il sale della democrazia.
L'importante è che il confronto non diventi strepitio di variegati versi animaleschi: buona notte :)





2 commenti:

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    1. Ogni tecnica rimanda a una metafisica, caro Steve, e la legge elettorale, nonché la prassi politica fondata sul personalismo (in qualche modo una tecnica, per quanto di berlusconiana memoria)ci dicono che la metafisica della politica italiana è un pasticciaccio brutto brutto ... ma stiamo lavorando per voi, a nostro modo ... Concordo con la tua analisi su Monti e ciò che rappresenta: una destra presentabile nella sfera pubblica europea ma non per questo meno pericolosa della destra fallocratica e populista che ci ha governato negli ultimi anni ...

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