sabato 29 dicembre 2012

Sondaggi & Co.


Oggi, mentre mi godevo il divano di casa da mia madre in Italia prima di partire per il Capodanno in Val Pusteria, ho ricevuto una chiamata da una gradevole voce femminile che mi diceva di essere dell’istituto di indagini statistiche IPSOS. La pulzella voleva sapere cosa voterò alle prossime elezioni, quali candidati premier riscuotono la mia stima e chi penso che vincerà a livello nazionale e regionale (Friuli Venezia Giulia).
Premetto che ricevere una chiamata da uno di questi istituti è sempre stato un mio sogno nel cassetto: lo so, mi accontento di poco, ma sono e sarò sempre un campagnolo provincialotto. Il mio scopo comunque è prendere spunto da questa circostanza per parlare di un argomento che ha sempre suscitato il mio interesse: le rilevazioni statistiche, appunto.


Il loro fine è cercare di cogliere delle tendenze in un determinato segmento di popolazione per aiutare un fornitore di prodotti a orientarsi sul mercato: tipico esempio è quello di un’azienda di cellulari che vuole comprendere quali siano le caratteristiche più apprezzate in un telefonino (design, connettività, accessori etc.) e quindi progettarne uno che possa venire incontro alle richieste dei consumatori.
E la politica come s’inserisce in tutto ciò? In effetti, si può pensare che i fornitori siano i partiti, la merce presentata sul mercato elettorale i programmi e i candidati e il consenso elettorale il metro per decidere il successo dei prodotti presentati. Tale accostamento politica-mercato è totalmente neutro, anche se so che al compagno Smarmello non piacerà: con esso non voglio intendere le forme degenerate di politica, come il voto di scambio e il mercanteggiare delle preferenze.
Detto ciò, cogliere delle tendenze tra i consumatori con indagini statistiche condotte tramite interviste è complicato, perché richiede alcuni assunti non sempre facili da soddisfare. Questi sono:
  • ·            la rappresentatività del campione d’indagine scelto;
  • ·            la correttezza del modo di porre le domande;
  • ·            la sincerità di chi risponde.

Il primo punto è importante perché le leggi della statistica ci dicono che, se si vuole capire cosa pensa un gruppo di persone su un determinato argomento, non è necessario fare domande a tutti i suoi membri: basta selezionare accuratamente un sottoinsieme che sia rappresentativo. Questo è un concetto delicato, perché se l’intera popolazione (in statistica detta universo) è composta in maggioranza da uomini, bisogna scegliere un sottogruppo che sia anch’esso composto in maggioranza da uomini, possibilmente con la stessa percentuale dell’insieme universo. Il problema è che ci sono potenzialmente infinite caratteristiche di cui tenere conto (sesso, titolo d’istruzione, occupazione), quindi se ne scelgono alcune, quelle che si ritengono importanti: sempre per continuare con l’esempio dei telefonini, all’azienda può interessare l’età dell’acquirente, non certo il colore dei suoi capelli, che si ritiene totalmente scollegato dai suoi gusti in fatto di cellulari.

Il modo in cui si pongono le domande è importante perché esso influenza la risposta che viene data. A riguardo è famoso l’esempio di un sondaggio condotto tra i cittadini statunitensi in piena guerra del Vietnam, per capire il consenso nei confronti di quel conflitto. In esso la stessa domanda fu posta in tre modi diversi: “È favorevole all’invio dei nostri soldati in Vietnam”, “Qual è la sua opinione sull’invio dei nostri ragazzi in Vietnam” e “Cosa ne pensa sull’invio dei nostri figli in Vietnam”. Alla prima domanda hanno risposto positivamente molte più persone della seconda, che ha comunque ricevuto più consensi della terza, per la quale il consenso era praticamente nullo: questo perché è (non tanto secondo me, ma non importa) comprensibile che uno possa essere favorevole a una guerra, ma pochi vogliono che i loro figli siano mandati al fronte.

La sincerità di chi risponde, infine, è ovviamente fondamentale: se i primi due requisiti sono soddisfatti ma gli intervistati rispondono in maniera non sincera, l’indagine statistica è da buttare.
Mentre i primi due presupposti sono comuni a qualunque indagine statistica, il terzo assume particolare importanza per i sondaggi elettorali. Per fare due esempi, la Democrazia Cristiana riportava sempre più consenso nelle urne che nelle rilevazioni pre-elettorali: questo perché gli elettori di quel partito erano meno propensi a rivelare il proprio voto rispetto, ad esempio, a quelli del Partito Comunista Italiano. La stessa cosa accadeva, e secondo me accadrà nuovamente, con Berlusconi: molti non se la sentono di ammettere pubblicamente il loro favore nei suoi confronti, magari ne parlano pure male, però alla fine lo votano, come successe nel 2006, quando tutti i sondaggi davano per favorita la coalizione dell’Unione, per poi avere un sostanziale pareggio alle elezioni.

Ovviamente la sincerità delle risposte dipende anche da come vengono poste le domande: per fare un esempio riguardante il mio caso, mi è stato chiesto quale coalizione secondo me avrebbe vinto a livello nazionale, al che io ho controbattuto domandando se s’intende come vittoria l’ottenere più voti oppure avere la maggioranza nelle due camere. Ho chiesto questo perché con la legge elettorale di oggi è possibile che chi ottenga più voti a livello nazionale non abbia la maggioranza al Senato, poiché il meccanismo di distribuzione dei seggi in questo ramo del Parlamento è deciso su scala regionale, e basta quindi conquistare per pochi voti quattro o cinque regioni (quelle più popolose) per ottenere la maggioranza. Quando la sondaggista mi ha risposto che s’intendeva semplicemente quale partito avrebbe avuto più voti, ho risposto dando come vincitori PD-SEL. Se invece si fosse parlato di maggioranza nelle due camere, avrei probabilmente optato per una situazione senza vincitori.
Inoltre, spesso i sondaggi vengono usati per influenzare il voto. In questo Berlusconi è un maestro, e usa la più piccola risalita nei sondaggi per convincere gli elettori a votarlo: è facile comprendere come un indeciso possa scegliere più volentieri di votare un partito che sembra vincente piuttosto di uno che consegue pochi consensi.
Infine, due parole su quello che commercialmente si chiama il target dei sondaggi: per i partiti, come per le aziende, può essere importante cercare di comprendere l’opinione di una precisa fetta di elettorato. A me, durante la telefonata di oggi, proprio alla fine, è stato chiesto con che regolarità vado io a messa. L’istituto IPSOS (e probabilmente anche il committente) era interessato a capire l’orientamento dell’elettorato cattolico, anche perché ci sono due coalizioni a queste elezioni che se lo contendono: quella attorno a Berlusconi, finora depositaria di tale consenso, e quella centrista di Monti, per la quale la Chiesa si è palesemente schierata. Interessante in questo caso sarà quindi capire quanto i credenti seguiranno le indicazioni del clero.
La morale di questo post? I sondaggi sono uno strumento delicato, che spesso viene usato in maniera impropria. Quando ne vediamo uno in televisione, sui giornali o sui siti internet, dovremmo cercare di capire innanzitutto il committente e chi compie la rilevazione: storicamente, ad esempio, l’istituto di Pagnoncelli IPSOS è sempre più favorevole al PD nei suoi risultati, anche perché questo partito è un suo cliente sin dai tempi dei DS, per non parlare poi della simbiosi Datamedia-Berlusconi. Successivamente, sarebbe bene capire anche qual è il segmento elettorale che si vuole monitorare, ma questo purtroppo è spesso dato solo in piccolo e comunque in maniera poco visibile, rimandando poi a una pagina Web molto lunga e poco leggibile. Per avere idee un po’ più precise su come si muove il consenso elettorale, propongo di consultare il sito www.termometropolitico.it/sondaggi: in esso viene calcolata una media delle intenzioni di voto rilevate da diversi istituti di ricerca, filtrando così le possibili sorgenti di imprecisione nelle rilevazioni statistiche.
Per ringraziarvi e per farvi i miei auguri di buon anno, non potevo non scegliere questa canzone dei REM, tratta dall'album Document: buon anno :)

2 commenti:

  1. Il compagno Smarmello è consapevole delle relazioni intercorrenti tra mercato e politica e per questo non reputa inutile analizzarle. Credo allo stesso tempo che sia difficile per molti di noi a Sinistra appoggiare un modello di elettore-cittadino forgiato su quello del consumatore (per quanto questo consumatore possa essere sensibile e informato). Il cittadino-elettore che ho in mente non consuma, al contrario, partecipa attivamente, prova delle emozioni, è un innamorato della polis, della res publica, razionale a tratti, scontroso, contento solo se può dire la sua e scontento nel momento stesso in cui la dice, polifonico, narcisista etico, onesto, vulnerabile e forte, intelligente e ingenuo, stratega, de core, de panza ... il cittadino-elettore che ho in mente è uomo - donna, o meglio, "Mensch", per dirla alla tedesca (uomo e donna sono termini che, anche se associati, escludono) ... Il cittadino-elettore merita più di un sondaggio ma per ora accontentiamoci e rispondiamo con sincerità, con il cuore che, non occorre ricordarlo, batte sempre a Sinistra ...

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    1. Caro Smarmello
      hai perfettamente ragione, infatti non era mia intenzione dire che vedo la politica come un mercato fatto di consumatori. Gli elettori, almeno idealmente, non sono limitati solo alla scelta e al consenso, ma possono anche a loro volta diventare fornitori di idee. La modellizzazione politica-mercato è quella alla base dei sondaggisti: non avrebbe altrimenti senso usare lo stesso strumento se il modello di partenza non fosse lo stesso, per quanto approssimativamente.
      E comunque, come dice Ilvo Diamanti nella sua ultima "Bussola" http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2013/01/04/news/io_sono_un_conservatore-49882360/?ref=HREA-1 su Repubblica, vorrei anch'io meno sondaggi e più sezioni.

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